Cristina Giopp
Leggi i suoi articoliA Milano è quel momento dell’anno. Quello in cui tenere gli occhi sgranati e la mente aperta a nuove visioni. Sta per riaprire le porte l’evento artistico meneghino più atteso: miart, la fiera internazionale d’arte moderna e contemporanea alla 27ma edizione. Ce la racconta il direttore, Nicola Ricciardi. Sarà l’occasione per avere la riprova di un dato significativo che conforta il nostro appetito culturale: oggi l’arte è più che mai viva, in continuo fermento e, senza dubbio, in continuo «Crescendo» (titolo di quest’anno). «Crescendo». In musica è l’aumento graduale dell’intensità del suono in una composizione. Ed è proprio attorno a questo concetto che prende forma l’immaginario di questa nuova edizione, che darà il La venerdì 14 aprile (con preview giovedì 13), e si concluderà domenica 16. Più che mai appropriata è la metafora musicale scelta, anche in riferimento alla crescita stessa della manifestazione che quest’anno aprirà le porte a 169 gallerie da 27 Paesi. Una crescita, dunque, non solo in termini di qualità e partecipazione, ma anche geografica: dalla HOA Gallerie di San Paolo alla Gallery 1957 di Accra in Ghana, passando per Foundry Seoul e Capsule Shanghai: l’internazionalità è la chiave distintiva di questa manifestazione. Con un’offerta cronologica molto ampia, che spazia dall’arte moderna e contemporanea alle produzioni più recenti, la fiera presenterà 3 sezioni: Emergent, dedicata alla promozione di 26 giovani gallerie; Established, con opere della più stretta contemporaneità, del XX secolo e del design da collezione e d’autore; e infine Decades, che esplora la storia del secolo scorso attraverso 10 progetti monografici.
Direttore, è al timone di miart al 2021, l’anno della cosiddetta ripartenza. Com’è stato prendere in mano questo grande progetto e come si è evoluto in tre anni?
È stata sicuramente una sfida, che ho accettato di buon grado. C’era da reinventare da zero qualcosa che funzionava benissimo fino al 2019. Mi trovavo in una posizione un po’ particolare, perché nel 2021 il mondo delle fiere dell’arte era frantumato da due anni di pandemia, ma allo stesso tempo c’era tutto l’interesse, da parte mia, nel ricostruire la fiera bellissima a cui avevano dato forma, prima di me, Vincenzo De Bellis e Alessandro Rabottini. Il gioco era proprio questo: «ricostruire», ma con una mappa già ben delineata e basata su alcuni concetti cardine che ho cercato di portare avanti, come il legame tra contemporaneo e moderno, che è molto milanese; o il legame con la città di Milano, che è stata la grande intuizione di De Bellis e ciò che ancora oggi sta facendo la differenza; e poi ripartire, soprattutto, puntando sulla qualità delle gallerie. Ecco che, pian piano, edizione dopo edizione, stiamo cercando di riportare questa qualità in fiera, mantenendo il livello raggiunto da Rabottini nell’ultima sua edizione, a tutti gli effetti al pari delle più importanti fiere europee.
Per la terza volta consecutiva miart ha scelto la metafora musicale come tema guida. Perché?
È iniziato un po’ per gioco il primo anno da una mia presa di coscienza. Appena arrivato mi sono trovato attorno un enorme silenzio, perché nel 2021 nessuno sapeva se ci sarebbe stato un futuro per le fiere e molte gallerie non erano nemmeno sicure di riuscire a rimanere aperte. C’era un silenzio assordante. E noi siamo ripartiti da lì, con la prima edizione che si chiamava «Dismantling the Silence», ovvero «smantellare il silenzio»: ciò che abbiamo cercato di fare nel 2021. Poi è venuto quasi naturale pensare che dopo il silenzio non potesse esserci altro se non la musica; così è nata l’idea del «Primo movimento», titolo dell’edizione 2022: volevamo parlare dell’inizio, l’attacco di una nuova sinfonia, ma anche di un «tornare a sgranchirsi le ossa», a muoversi fisicamente attraverso i corridoi della fiera. Oggi siamo in una fase diversa, per fortuna, ben rappresentata dal titolo: «Crescendo». Perché, dati alla mano, sono cresciute in maniera esponenziale le application (più del doppio dell’anno scorso), è aumentata l’internazionalità (raddoppiato il numero di gallerie dall’estero), e sono più che raddoppiati i premi. «Crescendo» ci sembrava la parola più adatta a rappresentare il tema musicale, per quel gusto, un po’ tutto mio, di cercare di uscire dal campo dell’arte per scovare nuovi stimoli, ma anche per sottolineare questa crescita, che è in continua traiettoria ascensionale ed è solo a metà della scala, uno sprono a non fermarci e continuare a crescere. Per questo è «Crescendo» e non «Cresciuto».
Quali sono i tratti distintivi e le novità di questa rispetto alle precedenti edizioni?
Ci sono molte novità, sia dentro la fiera, con il ritorno delle grandi gallerie internazionali come Esther Shipper, Perrotin, Gregor Staiger, Kendall Koppe, sia, soprattutto, fuori. «Crescendo» sottolinea anche la nostra voglia di estenderci oltre i confini del quartiere fieristico, come le radici che escono dal vaso e vanno a contaminare altri territori. Ad esempio, una bella novità è la collaborazione con la Triennale di Milano, che ospiterà i talk di miart: fino ad oggi si sono sempre tenuti dentro la fiera, ma a me piaceva l’idea di collocarli dentro la città, quindi lavorando con un’istituzione che diventasse un po’ «la casa» di miart durante i giorni della fiera. E poi i premi, che sono tanti e nuovi. A uno tengo in particolar modo, perché rappresenta uno dei miei obiettivi: restituire qualcosa a Milano, verso cui mi sento estremamente debitore, perché mi ritengo fortunatissimo a guidare una fiera importante in una città come questa e a far crescere progetti importanti. Questo nuovo premio mi permette di fare qualcosa di concreto. In collaborazione con la Fondazione Henraux Sculture Commission, per la prima volta, verrà scelto un artista tra quelli presenti a miart al quale verrà commissionato un nuovo lavoro in marmo, da esporre per un anno al Museo del Novecento di Milano. È qualcosa che nasce dentro la fiera, ma che poi si colloca all’interno di un museo pubblico. Questo premio rappresenta bene questa nostra ambizione di uscire: non solo di uscire temporaneamente, ma di uscire per rimanere.
A proposito di «Crescendo», sta crescendo anche il mercato dell’arte? Come immagina la miart del futuro?
Beh un trionfo! Scherzi a parte, devo dire che c’è una tendenza di ripresa forte. Lo vedo, dati alla mano, se guardo anche le altre fiere. ARCOmadrid è andata molto bene, Dubai anche. Sono due fiere molto diverse tra loro, ma che raccontano due trend: da un lato un collezionismo forte, che continua a investire, magari per contesti geografici diversi rispetto al passato; dall’altro un collezionismo medio, che continua a comprare e a sostenere le gallerie, con acquisiti di minor impatto e portata, ma ben distribuiti. Per me poi questo è un obiettivo: avere meno Fontana da 5 milioni venduti e più opere da 35-50 mila euro distribuite su più gallerie. Questo approccio, in questa fase storica, aiuterebbe a mantenere un buon livello di vendite, che non sono ancora facili, dando continue iniezioni alle gallerie, per far sì che continuino a portare avanti il loro lavoro. La nostra funzione è anche un po’ quella: sostenere quel mercato. A livello di tendenze, stanno tirando molto la pittura e i media artistici più tradizionali; lo vediamo nelle fiere, nei musei, nelle Biennali... Siamo tornati un po’ ai Grand Salon del passato. È un buon momento per la pittura, sì, ma l’arte, per fortuna, gode di una ciclicità perenne.
Uno sguardo al passato: quale passata edizione di miart avrebbe voluto vedere (e magari dirigere) e perché?
Sono contento di quelle che sto dirigendo adesso. Io sono storicamente un curatore per cui, per me, era una sfida nuova quella di confrontarmi con una fiera. Ma ho trovato, oltre che una struttura molto più agile di quello che pensassi, anche un interessante dialogo con le gallerie, con le istituzioni e con gli artisti. Una passata edizione che ho visto e che, anche fra 10 anni, ripeterei è la prima con Vincenzo De Bellis nel 2015. Vincenzo, aveva capito che miart stava navigando a vista ed è riuscito a fare un investimento sulla qualità delle gallerie milanesi (molte non partecipavano neanche ai tempi) e sulla città, e ha trasformato in poco tempo una fiera che non godeva di un’altissima riconoscibilità internazionale, in quella che poi, per anni, è diventata una delle più interessanti in Europa. È stata un’edizione che ha dato proprio il La a tutto: uno sforzo comune che univa pubblico e privato e che ha trasformato nel tempo il panorama in cui oggi siamo inseriti.
L’opera d’arte che vorrebbe acquistare?
Che budget ho? Illimitato? Fin troppo facile. Anche se io vengo dal contemporaneo, darei tutto per un Cézanne. Anche solo un disegno, mi basta un disegno. Me lo guarderei tutti i giorni e sarei a posto. Ogni volta che vedo un’opera di Cézanne non riesco a osservarla per meno di mezz’ora, mi parla come pochi altri. Ci sono artisti, da Tiepolo a Balthus, che mi parlano in modo particolare, ma con Cézanne c’è qualcosa di diverso, è un rapporto personale.
Altri articoli dell'autore
Dietro le quinte della settimana dell’arte in contemporanea a miart, in compagnia dell’assessore alla cultura Tommaso Sacchi
10 personalità d’eccezione raccontano la loro «Transformative Experience» in attesa della fiera d’arte contemporanea
10 personalità d’eccezione raccontano la loro «Transformative Experience» in attesa della fiera d’arte contemporanea
10 personalità d’eccezione raccontano la loro «Transformative Experience» in attesa della fiera d’arte contemporanea