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Redazione GdA
Leggi i suoi articoliL’illusorietà spaziale e la «prospettiva aerea» vennero banditi dall’Astrattismo più radicale, quello da cui sarebbe nato il Minimalismo duro e puro. Ma oggi non è più tempo di confini invalicabili e di presuntuose negazioni. Forse da queste considerazioni nascono i dipinti di Luigi Carboni (Pesaro, 1957), esposti sino al 4 febbraio allo Studio La Città. Nascono così ipnotiche «mappe» reticolari, «paesaggi» (o immaginarie costellazioni) in forma di composizioni geometriche in cui le forme si susseguono in un continuo divenire. È dunque una pittura rigorosa (nell’elaborazione concettuale e nella realizzazione), ma che si apre alla percezione dell’osservatore all’insegna di una compresenza, spiega l’autore, di «classicità e sperimentazione», in cui il piacere visivo e la stessa bellezza (termine ora abusato, ora bandito dai linguaggi della contemporaneità) non decadono mai in una inerte decorazione. Perché, come sa bene Carboni, anche «l’oggetto più silenzioso può diventare molesto senza che ne capiamo il perché». Di qui, da questo sapersi fermare a una data soglia, prima di confondersi con il clamore e la spettacolarità di tanta arte contemporane, il titolo della mostra: «La forma, un attimo prima».
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