Giuseppe M. Della Fina
Leggi i suoi articoli«15 novembre 1553. Mentre fuori delle mura di Arezzo, presso Porta Lorentino, veniva scavata terra destinata a realizzare un nuovo bastione, fu scoperto un insigne monumento etrusco. Si trattava di un leone di bronzo, di grandezza naturale»: così ricorda una deliberazione del Comune di Arezzo del tempo. La statua venne trasferita prontamente a Firenze per volontà di Cosimo I de’ Medici e, negli ambienti antiquari legati alla Corte, venne riconosciuta subito come una Chimera. L’opera, conservata oggi presso il Museo Archeologico Nazionale di Firenze, rappresenta uno dei bronzi più noti che ci siano pervenuti dall’antichità. La sua datazione più accreditata oscilla tra la fine del V secolo e la metà del IV secolo a.C. Sulla zampa anteriore destra è presente l’iscrizione etrusca «tinscvil» incisa prima della fusione.
Intorno a questa celeberrima statua, Vincenzo Bellelli, direttore del Parco Archeologico di Cerveteri e Tarquinia, ha avanzato una nuova ipotesi: essa, in origine, non sarebbe stata isolata, ma avrebbe fatto parte di un gruppo scultoreo composto dalla belva nell’atto di difendersi dall’assalto di Bellerofonte che cavalca l’alato Pegaso. Uno schema figurativo che ricorre spesso nella ceramica attica a figure rosse e in quella italiota ed etrusco falisca.
In proposito Bellelli ha osservato che, in tale ricco corpus iconografico, quando la Chimera è rappresentata morente, come accade nella statua rinvenuta ad Arezzo, essa non è raffigurata mai isolata, ma associata all’eroe che la uccise. Egli, inoltre, ipotizzando una datazione dell’opera al passaggio tra il V e IV secolo a.C., individua un’occasione nella storia di Arezzo etrusca in cui sarebbe stato possibile commissionare un’opera con la raffigurazione di un mostro tricefalo eruttante fuoco dalla bocca, come la Chimera, sconfitto. Occorre ricordare che nel mondo greco, etrusco e romano, la policefalia e il potere distruttivo del fuoco rinviavano al superamento del potere legittimo, alle sedizioni politiche e alle rivolte.
Dalle fonti letterarie ed epigrafiche sappiamo che, in almeno tre circostanze, la città venne scossa da rivolte. Una, in particolare, collocata da diversi studiosi agli inizi del IV secolo a.C., venne repressa con l’aiuto del tarquiniese Aulo Spurinna chiamato in soccorso dai membri dell’aristocrazia aretina tra i quali spiccavano i Cilnii, la famiglia da cui in seguito discese Mecenate. Per Bellelli, il gruppo scultoreo con Bellerofonte che sconfigge la Chimera sarebbe stato commissionato in quel frangente storico e politico per ricordare, attraverso il riferimento al mito, il pericolo corso dagli assetti istituzionali tradizionali.
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