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Kazako, multimediale e leonardesco

Mariella Rossi

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Peter Greenaway e Yerbolat Tolepbay al Rivellino

Fondato a Locarno da Arminio e Paolo Sciolli, il centro culturale Il Rivellino-Ldv Art Gallery ha una triplice natura, diviso tra una ricercata attività espositiva in sede, la conservazione di archivi importanti e le numerose collaborazioni nell’organizzazione di mostre internazionali di successo allestite oltre i confini del Ticino e della Svizzera. 

Negli spazi di Locarno i fratelli Sciolli custodiscono il lascito di cento opere pittoriche e disegni di Jack Kerouac, l’unico fuori dagli Stati Uniti, e l’Archivio Ivan Bianchi, pioniere ottocentesco della fotografia attivo in Russia. Degna di nota è anche la storia dell’edificio ove si trova il centro culturale, che ubicato nel cuore della città, ingloba l’unico bastione difensivo (da cui il nome Rivellino) del Castello Visconteo giunto sino a noi, attribuito dagli studiosi Carlo Pedretti, Pietro Marani e Marino Viganò al genio di Leonardo. Abbiamo incontrato Arminio Sciolli. 

Ci parli della mostra in corso di Peter Greenaway.

Costituisce l’ideale prosecuzione della personale conclusasi il 3 ottobre a Genova nei Musei di Nervi-Galleria d’Arte Moderna. Sono esposti 49 dei 92 disegni di «Eisenstein in Messico» detenuti dal Rivellino, gli altri 43 erano in mostra a Nervi. Per l’occasione è stato inoltre realizzato un libro d’artista in edizione limitata con un intervento testuale di Greenaway, assieme al quale stiamo producendo, in collaborazione con la Gosfilmofond of Russia, «The Swiss Hoax», un lungometraggio sul viaggio di Eisenstein a La Sarraz in Svizzera, dove nel 1929 è stato celebrato il primo film festival della storia.

Quello con Greenaway è un sodalizio.

Peter Greenaway ha concesso al Rivellino, specializzato nella videoarte e nelle arti multimediali, di intitolare a suo nome il «Multi Media Center Peter Greenaway». 

Altri progetti in corso e nel cassetto?

Nello stesso periodo esponiamo le prime opere di Stephan Spicher e una serie di affreschi sulla guerra fredda di Ultramarine. Nei nostri spazi si trovano anche le opere con le quali abbiamo partecipato all’Expo di Milano e una collettiva con una decina di artisti sudcoreani, piccola per dimensione ma Rivellino arrovellato molto interessante. Ci è stato chiesto di presentare «Stairs» di Greenaway in due capitali mondiali, come intervento di arte pubblica su larga scala.

Qual è il vostro lavoro sui fondi che custodite?

Un continuo impegno di valorizzazione. Abbiamo prestato una trentina di pezzi di Jack Kerouac al Centre Pompidou di Parigi per la mostra conclusasi il 2 ottobre sulla Beat Generation, che andrà a fine novembre allo Zkm di Karlsruhe. La retrospettiva di Kerouac che abbiamo presentato a Locarno nel 2013 ci è stata richiesta dalla Gagosian Gallery di New York, per il 2017, e dal Museo Nazionale del Kazakistan. 

A che cosa state lavorando in Kazakistan?

Astana, città immersa nel contemporaneo e proiettata nel futuro con architetture di Norman Foster e Zaha Hadid, ospiterà il prossimo anno l’Esposizione Universale, che ci ha chiesto diversi progetti espositivi. Tra questi «Arte in diretta», che avevamo proposto all’Expo di Milano lo scorso anno invitando per tutta la durata della manifestazione una ventina di artisti internazionali, tra cui Sung An, Koose e Oksana Mas. Stiamo pensando anche a un programma di eventi multimediali e teatrali con il coinvolgimento di Peter Greenaway e del regista Robert Wilson sul tema della bomba atomica, visto che il titolo e il tema dell’Expo è «Energia futura». Infine presenteremo un’importante monografica, allestita tra la sede dell’Expo e il Museo Nazionale, dedicata a uno tra i maggiori artisti kazachi: Yerbolat Tolepbay, la cui ricerca tocca temi di attualità come ecologia e nucleare. 

E porterete anche un po’ di Kazakistan in Ticino?

Il prossimo anno inviteremo al Rivellino una serie di giovani artisti kazachi e ospiteremo prima di Astana la personale di Yerbolat Tolepbay, già accolta con entusiasmo dalle istituzioni locali felici di questa occasione di interscambio culturale. L’aspettativa è tale che potrebbe essere un’istituzione pubblica a volerla ospitare.

Mariella Rossi, 23 ottobre 2016 | © Riproduzione riservata

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