Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine
Franco Fanelli
Leggi i suoi articoliNon ci sono molte altre categorie umane più comuni e insopportabili degli artisti risentiti. Quelli che «se avessi abbassato la testa e mi fossi adeguato al trend a quest’ora sarei nei musei di tutto il mondo»; quelli che «’ste cose le facevo io cinquant’anni fa» ecc. Ugo Nespolo, sulla soglia degli 80 anni, sarebbe fortemente indiziato di risentimento senile se non fosse portatore della rarissima equazione tra dissidenza e successo.
Come Thomas Bernhard nel racconto A colpi d’ascia, da decenni ha preso le distanze da certo «artworld», godendosi il privilegio di osservare con un certo disgusto la «cena per soli artisti» e le vacuità che accompagnano le portate. A quella tavolata, dagli anni Sessanta, ha visto alternarsi diversi commensali. Dai poveristi duri e puri cui decise di non associarsi, ai nuovi pompier, da Hirst a Koons, sino all’ultimo Kiefer, assiste a cene in cui è difficile dire se le portate siano più pesanti e indigeste dei discorsi di chi ha le gambe sotto il tavolo.
E ora, nel trionfo dell’arte tramutatasi in strumento (neanche troppo pulito) di manovre finanziarie, di opere a «obsolescenza rapida» (funzionali cioè al rapido e spensierato consumo), del contemporaneismo estetico come intrattenimento, ci spiega che una ricetta per non morire d’arte c’è. Se il postmodernismo ha tentato di infliggere il colpo finale all’utopia dell’avanguardia, saranno la leggerezza, foss’anche quella dell’arte portatile nella «Boîte en valise» di Duchamp, l’ironia patafisica e l’imprendibilità a porre in salvo l’artista e chi l’arte la ama veramente.
Nespolo, in questo colto e urticante pamphlet, in cui brani della sua vita d’artista si alternano a feroci riflessioni sul presente e sulle zone d’ombra di certo «glorioso» passato, dichiara la sua sostanziale appartenenza alla tradizione modernista e ai suoi mai tronfi ideali, a quell’antico sogno dell’arte capace di relazionarsi con la vita (e l’economia) reale attraverso un’inesausta, eppur lieve e ludica, multidisciplinarità.
Perché è il movimento perpetuo a garantire la salvifica fuga dalla morte dell’arte e dai miasmi del suo sistema. Non sarà un caso, scrive infatti, se uno dei massimi odiatori del movimento Fluxus e del suo sottrarsi alle regole fu proprio uno squalo di quel sistema come Leo Castelli.
Per non morire d’arte
di Ugo Nespolo, 139 pp., ill. b/n, Einaudi, Torino 2021, € 12,00

Ugo Nespolo
Altri articoli dell'autore
Era lanciatissima negli anni Novanta, poi è stata oscurata dalle star Tracey Emin e Damien Hirst. Da qualche tempo, però, complici la scoperta delle donne surrealiste e il dibattito sull’appartenenza sessuale, la dissacrante artista inglese è tornata di moda
Le opere dell’artista inglese alla Fondation Louis Vuitton di Parigi mettono (quasi) tutti d’accordo: dalle celebri piscine californiane ai paesaggi dello Yorkshire, è salutato come l’ultimo grande maestro, portatore di emozioni positive ed empatia in un mondo in guerra
Siamo nell’era della presa di coscienza di un’arte completamente «biennalizzata» in cui, è opinione assai diffusa, la parte politica e diplomatica prevale su quella artistica
Il più giovane del nucleo storico dell’Arte Povera da oltre mezzo secolo interroga la natura per scoprire il fluido vitale dell’esistenza. E sebbene ogni tanto incappi nella ridondanza e nella grandeur, la sua opera dimostra «che arte e realtà si forgiano insieme e si appartengono sin dal principio, come lingua e pensiero viventi»