Federico Castelli Gattinara
Leggi i suoi articoliA Jebel Barkal il tempio di Mut al centro del restauro dell’Iscr
Tra le tante missioni italiane all’estero a guida dell’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro (Iscr), nostro fiore all’occhiello per la conservazione del patrimonio mondiale, uno dei fili conduttori è l’uso proprio dei materiali e la difesa di tecniche e mestieri tradizionali, in altre parole uso della chimica il meno possibile e interventi sostenibili, adatti alla cultura e alle condizioni del posto.
È il caso, per esempio, della missione diretta da Maria Laurenti, con Claudio Prosperi Porta responsabile per la parte architettonica. Il progetto prende le mosse nel 2013 da un breve corso sulla conservazione della pietra tenutosi a Khartum, con visita al sito Unesco di Jebel Barkal e la seguente proposta di un’azione comune.
Si tratta di un grande santuario egizio, il cui massimo splendore risale alla XXV dinastia (VIII-VII secolo a.C.), sotto i faraoni kushiti, nubiani appunto, i cosiddetti «faraoni neri». Conserva le rovine di diversi templi, tra cui quello dedicato a Mut, la sposa di Amon, costruito in origine in parte dentro la montagna e in parte fuori, con una serie di vestiboli in asse di cui oggi rimane ben poco. All’interno della roccia arenaria tuttavia si conservano tracce cospicue di decorazioni dipinte, completamente da recuperare.
Alla fine del 2013 risale la firma della convenzione. In realtà nel 2005 c’era già stata una missione Unesco con specialisti italiani, che aveva condotto studi preliminari e prove di pulitura, lasciando una relazione. «Per noi un riferimento importante, spiega la Laurenti, anche se abbiamo dovuto riverificare tutto, ricominciare da zero per capire la situazione di tipo ambientale del tempio, quindi iniziare una serie di indagini preliminari e un rilievo scanner laser, non così scontato data la mancanza di corrente elettrica».
Il monumento oggi consiste perlopiù in un atrio, col soffitto roccioso in parte crollato, da cui si accede a una camera principale interamente decorata e a due ambienti laterali, uno per lato, con decorazioni non finite e tracce esigue di colore. La missione è intervenuta sia dal punto di vista statico-architettonico sia su rilievi dipinti, geroglifici e figure. A febbraio 2014 sono iniziati i primi test di pulitura e consolidamento delle strutture.
Il tettuccio in lamiera della parte esterna dell’atrio è stato subito sostituito con una copertura leggera e isolante di canne, palme e battuto di terra finale, tradizionale quanto efficace. Il fronte d’accesso è stato avanzato con un corridoio in mattoni crudi, creando un accesso laterale per evitare luce, vento e sabbia diretti.
Nonostante la difficoltà di rimuovere lo strato scuro formato essenzialmente da guano di pipistrello, a oggi il progetto ha recuperato le decorazioni dell’intera parete ovest della camera principale, circa 24 mq. Il cantiere, condotto congiuntamente da Iscr e Ncam (la direzione per le antichità del Sudan) e cofinanziato da Mibact e Stato del Qatar, riparte a novembre, col restauro della parete est della camera e il progetto di copertura definitiva, sempre d’impatto contenuto, che dall’atrio arriverà al limite della prima fila di colonne esterne. Sulle pitture per ora non saranno stesi protettivi, ma delle transenne terranno a bada i visitatori in continuo aumento.
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