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Pier Francesco Mola, Ritratto di Nicolò Simonelli nel «Museo delle Curiosità». Già Ariccia, Palazzo Chigi, ubicazione ignota

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Pier Francesco Mola, Ritratto di Nicolò Simonelli nel «Museo delle Curiosità». Già Ariccia, Palazzo Chigi, ubicazione ignota

Il gioco del «Trucco» nel Palazzo Chigi di Ariccia

Una rarità da Wunderkammer nella dimora barocca

Francesco Petrucci

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Palazzo Chigi in Ariccia si presenta come una sorta di enorme Wunderkammer o amplificato «gabinetto delle curiosità», per una bizzarra sospensione spazio-temporale che ha consentito eccezionalmente la conservazione di manufatti e oggetti d’uso, un tempo comuni nelle dimore nobiliari, oggi estremamente rari. Una macchina del tempo o ponte di Einstein che ci catapulta in un remoto passato di casta lontano qualche secolo.

Certamente nel ’600, in ville e palazzi, era di moda costipare fino all’eccesso ambienti allestiti per raccogliere ogni sorta di stravaganze e di cose stupefacenti per rarità ed eccentricità, tra naturalia e stranezze etnologiche. D’altronde «è del poeta il fin la meraviglia», scriveva Giovan Battista Marino sintetizzando in un verso l’aspirazione principale di un’intera epoca.

Proprio il cardinale Flavio Chigi, sotto la guida esperta del suo «guardarobba» Nicolò Simonelli, aveva creato un «Museo delle Curiosità naturali, peregrine e antiche» ricordato da Giovan Pietro Bellori nella Nota delli musei del 1664, prima ubicato nel palazzo di Formello, poi nel Casino alle Quattro Fontane presso l’attuale piazza del Viminale.

Ma questi erano altra cosa, costituiti da reperti che curiosi lo erano nel XVII secolo, quando si viaggiava poco, mentre la classificazione scientifica degli organismi viventi e la conoscenza di altre culture era arretrata. Nel tempo di Internet lo sarebbero molto meno.

Nella società social forse stupisce maggiormente entrare a contatto con realtà materiali un tempo parte della vita delle persone, nello specifico dell’aristocrazia, oggi poco note e completamente dimenticate.

Tra questi singolari manufatti c’era il gioco del «Trucco», un enorme bigliardo ove si poteva giocare nell’uso attuale, ma anche ad una specie di bowling facendo cadere sorta di birilli chiamati «Re» per far entrare palline d’avorio in un castelletto o in portali a scala ridotta.

Per colpire le palle si usavano «magli», cioè stecche di legno con testa sagomata a mo’ di martello, simili a quelli un tempo adoperati nell’antico gioco della pallamaglio e nel croquet. Ma c’erano anche le «stecche» vere e proprie, cioè asticelle lunghe da bigliardo. Il Trucco di Ariccia è infatti fornito di buche tradizionali, ma ce n’erano anche senza buche.

In realtà negli inventari topografici di ville e palazzi del XVII e XVIII secolo è frequente incontrare una «sala del Trucco», la cui vera destinazione (non quella della cosmesi femminile, come alcuni potrebbero pensare) è nota oggi solo a pochi assidui frequentatori d’archivi.

Secondo l’inventario ereditario del cardinale Francesco Peretti Montalto del 1655, in una sala del Casino Felice della villa di Termini era collocato un «Trucco… in tavola grande coperto di panno verde», che aveva dato il nome all’ambiente che lo ospitava (B. Granata, 2012, p. 233).

In un inventario del 1666 di Palazzo Pamphilj al Corso è descritto «Un trucco grande con sua coperta di corame con suoi trespi», mentre un «gioco del trucco» compare anche nell’inventario coevo di Palazzo Pamphilj a piazza Navona (J. Garms, 1972, pp. 330, 412).

L’inventario del 1762 di Palazzo Arese Borromeo a Cesano Maderno ci rammenta che nella sala contigua al salone principale, nella zona di rappresentanza al piano terreno, c’era un «Trucco con suo fusto di noce lavorato alla moderna coperto di panno verde in buon stato e sua coperta di tela bianca», corredato da due palle d’avorio, dieci magli e due stecche (M. L. Gatti Perer, 1999, pp. 194, 208).

Il gioco era comunque diffuso in tutt’Europa con adeguamenti del nome a seconda delle realtà territoriali: trukko (in tedesco), truck (in inglese, 1671), truc (in francese, 1630), truco (in spagnolo, 1607).
Doveva essere abbastanza apprezzato anche da mercanti e borghesi, ma praticato in appositi locali, dato che bisognava disporre di spazi sufficienti per accogliere tali ingombranti manufatti. Infatti nel testamento del 1730 di Giuseppe Piffetti, padre del celebre ebanista Pietro, c’erano addirittura due giochi di «Trucho», probabilmente in origine collocati presso la sua osteria con annessa sala giochi a Torino (A. Cifani, F. Monetti, 2005, pp. 25, 44-45, nota 32).

Ebbene, da quanto mi risulta, oggi l’unico tavolo da Trucco esistente si conserva nell’avita dimora chigiana di Ariccia, in una sala che dal singolare arredo prende il nome. Il mobile fu costruito tra l’aprile 1669 e l’ottobre 1671 dal famoso intagliatore pisano Antonio Chiccari (1617-75), collaboratore del Bernini in varie imprese decorative, tra cui la quercia infestante sull’organo di Santa Maria del Popolo e i due tavoli da muro con cornucopie nel medesimo palazzo dei Castelli Romani.

L’artigiano lo aveva preparato a Roma «e poi rimesso insieme nella Riccia [l’Ariccia], il quale era tutto scatenato [e fu] ragiustato, e messo in Piano» (F. Petrucci, 1998, pp. 326, 334). La contabilità per questo e altri lavori eseguiti dal Chiccari nel feudo chigiano fu vistata da Carlo Fontana, che forse fornì un disegno per il tavolo e il castelletto, come aveva fatto per le due credenze da farmacia e guardaroba e il tavolo-scrittoio che ha gambe simili alle traverse del trucco.

Nell’inventario del 1705 «Un trucco di noce grande con suoi magli, e Palle» era collocato addirittura nella «Sala maestra», l’ambiente più rappresentativo del palazzo (A. Mignosi Tantillo, 1990, p. 113), ove si trovava anche negli inventari del 1744 e 1777. Probabilmente nel corso del XIX secolo fu trasferito presso l’attuale sala, contigua alla Sala Maestra che in una foto di inizi ’900 comunque non lo conteneva più.

Riportiamo la descrizione dello stato di fatto nel 1744, di grande interesse per la presenza di qualche accessorio oggi perduto: «Un Trucco di noce lungo p[alm]i ventidue, e largo p[alm]i otto con quattro piedi, e suoi finimenti con Coperta di Corame rosso foderata di tela sangalla rossa con suo cassettino con sua serratura, e chiave. / Quattrordici Magli, due in pezzi, e dodici intieri bisognosi però di risarcimento. / Trentaquattro palle tra grosse, e piccole. / Trè Porte, due di ebano, et una di noce. / Undici Rè p. d.o Trucco. / Racchette» [BAV, AC, n. 20640, p. 144 (32)].

Nell’inventario del 1777 viene ripetuta una simile descrizione, ma riferita al «Bigliardo nuovo», segno che dall’epoca il termine «Trucco» e forse anche il gioco cominciava a cadere in disuso [BAV, AC, n. 20825, pp. 46-47].

Osserviamo che nel medesimo inventario del 1744 erano presenti anche «Due tabelle, dove sono descritti li Capitoli del Gioco del Trucco», di cui una ancora sopravvive [p. 145 (30)]. Si tratta di una rara incisione ancora incorniciata databile agli inizi del ’700, edita dalla «Stamperia del Chracas, presso S. Marco al Corso», attiva a Roma tra il 1698 e il 1771, nota per aver pubblicato il celebre periodico «Diario Ordinario» o «Diario di Roma».

Curiosamente i Capitoli del Trucco si soffermano più sulle regole di comportamento che sul gioco effettivo, che, essendo in denaro, doveva evidentemente spesso degenerare coinvolgendo i giocatori in liti, imprecazioni, insulti, parolacce, bestemmie ed eccessi d’ogni tipo.

Infatti nella premessa ai «Capitoli, da osservarsi nel presente Giuoco», si specifica a caratteri corsivi in grande che «Quest’illustre passatempo del trattenimento del TRUCCO, essendo di persone di buon senso, illustre, e di merito, non avrebbe bisogno di spiegazione, mà per facilitare li principianti, e per evitare tutti li disordini, che potessero nascere, si è stimato approposito di trovare queste seguenti Regole…».

Era d’obbligo che il conduttore del gioco, detto «Marchiere», prima di iniziare impartisse raccomandazioni, cautelandosi di «avertire ognuno di stare con ogni modestia, senza nominare il Nome di Dio invano, o altri giuramenti, né parole disoneste, e se alcuno trascorresse in simili cose, sia tenuto il Padrone, ò Marchiere riprenderli ad alta voce».

Tuttavia, quasi per blandire i nobili e altezzosi giocatori, certamente non privi di suscettibilità e orgoglio di casta, si specificava che in fondo tali raccomandazioni erano pleonastiche, «poiché questo delizioso trattenimento viene esercitato da persone Illustri, Civili, e di gran spirito, in specie in quest’Alma Città di Roma esemplare di tutto il Mondo».

Sanzioni pecuniarie erano comunque comminate a chi non rispettasse le regole di bon ton, in particolare a «chi offende il Trucco, e chi spezza magli, sia tenuto a pagare bajocchi trenta per ciascheduno maglio che romperà, che spezzerà coda, sia tenuto pagare bajocchi sessanta per ciascheduna coda, che romperà, ò taglierà il panno del Trucco, sia tenuto pagare piastre tre».

Sembra che alcuni illustri gentiluomini di spirito, presi dalla foga del gioco, addirittura salissero sul mobile per tirare. A riguardo l’articolo XX specifica che «Chi nel giuocare si rampicasse sopra il Trucco, sia obligato a tenere un piede in terra, e non tenendolo, perde un punto…».

Eccezionale documento visivo di tale gioco è un poco noto disegno di Pier Leone Ghezzi conservato presso l’Ashmolean Museum di Oxford, raffigurante le caricature di quattro gentiluomini che giocano al Trucco a villa Rufinella (o Tuscolana) in Frascati per la villeggiatura del 1751 (Dept. of Western Art, neg. no. PII 1004).

Dalla didascalia sappiamo essere ecclesiastici in abito civile: «Il n.° 1 è il P. Vezzosi – Il 2° è il R.o Cardinal Sciarra - Il 3° è il R.o Cardinal Rezzonico -  Il 4° è Mon:r Molino, che tutti e 4 stanno à giocare al Trucco alla Rufinella de’ Gesuiti in Frascati, nella villeggiatura nel mese di Ottobre, e veduti dà me Cav:r Ghezzi il di 15. Ottobre 1751 – li numeri sono alli piedi di detti Signori -1-2-3-4 li quali furono invitati a pranzo dal P. Franchini Rettore del Collegio Romano».

Si trattava del padre teatino Anton Franco Vezzosi (1708-83), del cardinale Prospero Colonna di Sciarra (1707-65), di monsignor Giovanni Molino Auditore della Sacra Rota, poi cardinale (1705-73), mentre l’uomo basso e tarchiato al centro è nientemeno che il cardinale Carlo Rezzonico, poi papa con il nome di Clemente XIII (1693-1769). L’invito a pranzo era di Padre Domenico Franchini che fu Rettore del Collegio Romano dal 1748 al 1751, poiché all’epoca la villa tuscolana era proprietà dei Gesuiti.

Quindi praticavano questo nobile gioco non solo principi, marchesi e conti, mercanti facoltosi e borghesi, ma anche alti ecclesiastici e cardinali di Santa Romana Chiesa, compresi aspiranti papi, ai quali certamente non erano rivolte le raccomandazione comportamentali presenti nei citati «Capitoli», perlomeno si spera.

Bibliografia essenziale

Per Antonio Chiccari, i suoi rapporti con Bernini e i Chigi vedi: V. Golzio, Documenti artistici sul Seicento nell’archivio Chigi, Roma 1939; F. Petrucci, Alcuni arredi seicenteschi del palazzo Chigi di Ariccia nei documenti d’archivio, in «Studi Romani», anno XLVI, nn. 3-4, 1998, pp. 320-336; S. Sperindei, Nuovi documenti per Antonio Chiccari (Chiccheri, Chicari) intagliatore pisano, in Dalle Collezioni Romane. Dipinti e arredi in dimore nobiliari e raccolte private XVI-XVIII secolo, a cura di F. Petrucci, Roma, Palazzo Incontro, Roma 2008, pp. 127-128; S. Sperindei, Il pisano Antonio Chiccari (1617-1675) ed altri artefici nella Roma barocca: Johann Paul Schor, Pietro Antonio Perone e Francesco Adriani, in «Valori Tattili», n. 0, luglio-dicembre 2011, pp. 89-96; F. Petrucci, Bernini inventore. Disegni berniniani per arti decorative, in Bernini disegnatore: nuove prospettive di ricerca, a cura di S. Ebert-Schifferer, T. A. Marder, S. Schütze, atti del convegno internazionale, Roma, Bibliotheca Hertziana, Istituto Storico Austriaco, 20-21 aprile 2015, Roma 2017, pp. 341-364

Per riferimenti al gioco del Trucco vedi: V. Giustiniani, Discorso sopra il gioco della pallamaglio, 1626, in Sport e giochi, trattati e scritti dal XV al XVIII secolo, a cura di C. Buscetta, Milano 1978, pp. 326-332; F. Petrucci, Alcuni arredi seicenteschi del palazzo Chigi di Ariccia nei documenti d’archivio, in «Studi Romani», anno XLVI, nn. 3-4, 1998, pp. 320-336; S. Finocchiaro, Un giuoco antico fra gli antichi giuochi: il giuoco del trucco nel finalese, in Il gioco e lo sport nella memoria, Albenga 2001, pp. 121-131; A. Cifani, Fonti iconografico-letterarie e metodologia di lavori dell’ebanista torinese Pietro Piffetti. Contributi documentari per la sua vita e scoperte per il cassettone a ribalta del palazzo del Quirinale ed altri mobili, in «Bollettino d’Arte», 131, 2005, pp. 23-52; M. Arcangeli, S. Mariani, Giochi: trucco, boccette e altri passatempi, l’italianismo in gioco, 29 settembre 2014

Per gli inventari citati vedi: Biblioteca Apostolica Vaticana, archivio Chigi (BAV, AC); J. Garms, Quellen aus dem Archiv Doria-Pamphilj zur Kunsttätigkeit in Roma unter Innozenz X, Rom-Wien 1972; M. L. Gatti Perer (a cura di), Il Palazzo Arese Borromeo a Cesano Maderno, Cinisello Balsamo 1999; B. Granata, Le passioni virtuose. Collezionismo e committenze artistiche a Roma del cardinale Alessandro Peretti Montalto (1571-1623), Roma 2012

Francesco Petrucci, 05 giugno 2020 | © Riproduzione riservata

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