Arabella Cifani
Leggi i suoi articoliUn volume dedicato alle pionieristiche indagini sulla natura morta del grande storico dell’arte
Federico Zeri è morto il 5 ottobre del 1998. Sono ormai 18 anni. Non ha avuto eredi anche se molti lo hanno imitato negli scritti e negli atteggiamenti.
Dal mondo della storia dell’arte italiana non si è mai più levata una voce come la sua. Non è più sorto un leone ruggente come lui, pronto a scattare in difesa dell’arte, senza paura di nessuno, disposto a fare nomi e cognomi. Mi sono domandata che cosa avrebbe fatto e detto per l’adorata Palmira, lui che diceva di discendere da una famiglia siriaca. Conoscendolo, non avrebbe certamente perdonato né giustificato. La sua faccia antica, la sua aria impassibile e sorniona di chi giocava il mondo da un punto di vista superiore, sono scomparse.
Di lui ci resta tuttavia in eredità qualcosa di molto prezioso, uno strumento straordinario le cui future potenzialità Zeri ha solo potuto intuire: la sua fototeca. Ospitata oggi con la sua biblioteca e per sua volontà all’Università di Bologna, all’interno della magnifica Fondazione che porta il suo nome e la cui apertura è stata curata da Anna Ottani Cavina.
Vero motivo di orgoglio per la cultura italiana, la fototeca è stata messa in gran parte online nel corso degli ultimi anni. Solo chi fa lo storico dell’arte per mestiere sa che cosa voglia dire il libero accesso a questa banca dati con immagini rarissime, foto storiche, con dettagli di molte opere non più esistenti o irrintracciabili: una sterminata prateria dove far correre gli studi, le associazioni libere, i pensieri e le riflessioni, aperta a tutto il mondo, sfogliabile in tempi rapidissimi, con un buon motore di ricerca (migliorabile, ma già soddisfacente). Zeri non avrebbe immaginato, ma sono sicura che ne sarebbe stato molto contento, che tutto il lavoro della sua vita sarebbe servito a migliaia di studiosi e di studenti di tutto il mondo.
La fototeca possiede 290mila fotografie; attualmente ne sono fruibili online oltre 150mila, continuamente implementate. Per celebrare il peculiare interesse di Zeri per la natura morta e la prossima sistemazione in rete di oltre 14mila foto di tale genere, la Fondazione ha realizzato un volume tematico.
Curato da Andrea Bacchi, Francesca Mambelli, Elisabetta Sambo e pubblicato con il contributo dell’UniCredit, il testo presenta i saggi di una ventina di studiosi. Quello che emerge con chiarezza è l’importanza del fondo fotografico, che oltretutto è il maggiore al mondo del settore. I dipinti pubblicati sono stati studiati anche dal punto di vista iconografico e alla fine del volume un utile repertorio delle principali specie botaniche raffigurate nei quadri permette di dare un nome preciso ai fiori.
Zeri, fra l’altro, aveva seguito studi universitari di botanica e nelle nature morte sapeva leggere simboli, allegorie e dati scientifici con sorprendente disinvoltura.
Il «metodo», fatto di una attentissima e maniacale lettura dell’opera collegata poi alla sua cultura interdisciplinare, consentì a Zeri risultati pratici che certo un normale studioso fa molta fatica a raggiungere.
Di una natura morta giunse a comprendere che non era italiana poiché vi compariva un ortaggio tipicamente tedesco, e in un magnifico dipinto di Juan Fernández detto il Labrador capì che la composizione di gigli e rose era in realtà una sottile allegoria dell’Immacolata Concezione.
In compenso le nature morte piemontesi seicentesche di Orsola Caccia furono spedite in area spagnola: un errore tutto sommato comprensibile vista l’assoluta mancanza di studi al tempo delle sue indagini. Anche i primi caravaggeschi, come il misterioso Maestro di Hartford, ipotizzato come Caravaggio giovane, hanno costituito un innovativo capitolo dei suoi studi.
E che dire poi dell’interesse per i tappeti, la musica e gli strumenti musicali, i dettagli stravaganti, e della insaziabile e onnivora curiosità che lo animò fino all’ultimo. «Ogni giorno mi porta il suo carico di fotografie e di quadri», ricordava nella sua autobiografia (Confesso che ho sbagliato. Ricordi autobiografici, Longanesi, Milano 1995). In essa giungeva perfino ad affermare di essere assolutamente persuaso che i vegetali potessero avere una loro intelligenza e una loro forma di comunicazione.
Forse è ora intento a discuterne direttamente con un Viburnus opulus o con un Hibiscus syriacus.
La natura morta di Federico Zeri
a cura di Andrea Bacchi, Francesca Mambelli, Elisabetta Sambo
336 pp., 400 ill.
Edizione Fondazione Federico Zeri, Bologna 2015
€ 68,00
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