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Gli effetti di Trump sul mercato secondo il NYT

Vittorio Bertello

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Il 2 gennaio è comparso su «The New York Times» un articolo di analisi del mercato dell’arte internazionale di Scott Reyburn, sulle prospettive del settore alla luce dei progetti di riforme di Donald Trump che, scrive Reyburn, «ha nominato un Gabinetto stipato di miliardari e multimilionari con una visione “pro-business” che ha diffuso ottimismo in Wall Street e nelle economie su larga scala».

L’indice Dow Jones infatti nei giorni in cui si sta stampando questo giornale (e mentre il mondo si ribella alla discriminazione verso i visitatori musulmani di sette Paesi) ha toccato i suoi massimi storici (20mila punti), e questo fatto «sta a sua volta creando un’atmosfera di benessere nel mondo dell’arte, ambiente in cui l’1 per cento della popolazione americana costituisce di gran lunga la maggior parte dei compratori più importanti del mondo. Non solo essi potrebbero avere più denaro da spendere, ma Trump ha persino nominato Wilbur Ross, un collezionista d’arte miliardario, ministro del Commercio e Steven Mnuchin, figlio multimilionario di uno dei più importanti mercanti newyorkesi, Robert Mnuchin, ministro del Tesoro. Dal punto di vista del mercato dell’arte, che cosa può esserci di sgradevole nel nuovo Governo? (...). I collezionisti, comunque, sono preoccupati per un potenziale handicap tra le riforme fiscali suggerite da Mr. Trump. Il Tax Policy Center di Washington indica che il presidente in carica progetta di ridurre i benefici fiscali per le donazioni benefiche, una categoria che potrebbe includere le donazioni di arte ai musei».

Come afferma il finanziere texano Howard Rachofsky, che ha promesso in dono la propria collezione di arte americana, europea e asiatica del dopoguerra al Dallas Museum of Art, citato dall’articolo, «se la normativa cambia in modo significativo ciò potrebbe avere un effetto importante sulle donazioni di arte».

L’articolo prosegue poi illustrando le direttive che si stanno dando i mercanti internazionali, che ora puntano su valori più sicuri, cioè i grandi nomi dell’arte moderna e contemporanea, tralasciando le opere dei giovani artisti. Inoltre, i collezionisti stanno progressivamente orientandosi sui consulenti d’arte, che chiedono percentuali a una cifra (contro le case d’asta che invece pretendono commissioni a due cifre).

Vittorio Bertello, 07 febbraio 2017 | © Riproduzione riservata

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