Image

Julie Mehretu. Foto Josefina Santos

Image

Julie Mehretu. Foto Josefina Santos

A Palazzo Grassi Julie Mehretu e i figli delle rivoluzioni fallite

L’artista afroamericana torna a Venezia con lavori realizzati negli ultimi 25 anni: una cinquantina di suoi dipinti e stampe condividono la scena con opere di colleghi e amici artisti

Camilla Bertoni

Leggi i suoi articoli

«“Ensemble” è un contrappunto dove il lavoro di Julie Mehretu è intrecciato con quello di artisti a cui è legata da più di vent’anni, con i quali ha condiviso nel tempo preoccupazioni artistiche e umane». A spiegarlo è Caroline Bourgeois, curatrice della mostra «Julie Mehretu. Ensemble» che si apre a Palazzo Grassi il 17 marzo (fino al 6 gennaio 2025): nei due piani le opere di Mehretu sono allestite insieme a quelle di Nairy Baghramian, Huma Bhabha, Robin Coste Lewis, Tacita Dean, David Hammons, Paul Pfeiffer e Jessica Rankin.

Cinquanta i dipinti e le stampe di Mehretu realizzati negli ultimi 25 anni, esposti insieme a opere prodotte tra il 2021 e il 2023, 17 quelle provenienti dalla Collezione Pinault accanto a prestiti dell’artista, da musei internazionali e da collezioni private. La mostra, la maggiore realizzata in Europa, è organizzata in collaborazione con K21-Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen (Düsseldorf), che presenterà una nuova versione del progetto espositivo, interamente dedicato a Julie Mehretu, nel 2025.

Costruita insieme all’artista stessa, l’esposizione segue «un principio di rimandi, in un percorso libero e non cronologico, racconta ancora la curatrice. È la prima volta, dopo una serie di mostre monografiche dedicate ai più importanti artisti della collezione Pinault, che a Palazzo Grassi si lavora in questa direzione e dove un artista che invitiamo offre una visione sul suo mondo e sul suo lavoro condividendo la scena con i suoi amici».

A partire dall’interesse per le comunità emarginate e diasporiche a cui Mehretu ha sempre dedicato attenzione, con un’opera che si nutre di storia e di arte come della contemporaneità, dalle lotte sociali ai movimenti rivoluzionari, «Ensemble” esprime in modo poetico e musicale, racconta ancora Bourgeois, la prevalenza e l’intensità del bisogno di comunità, solidarietà e comunicazione. Sottolinea l’idea che essere artista non significa essere individualista, isolata dagli altri e dal mondo in cui si vive, ma, al contrario, essere coinvolta nel e con il mondo, profondamente consapevoli degli altri, della loro presenza e delle loro differenze. Anche se il lavoro di Mehretu è astratto, ci coinvolge in un’articolazione visiva delle esperienze contemporanee, così come fanno i lavori degli altri artisti inclusi nella mostra, sia che si esprimano attraverso i mezzi della scultura che della pittura, del cinema o della poesia».
IMG20240314114732436_130_130.jpeg
Nata nel 1970 ad Addis Abeba, in Etiopia, primogenita di un docente universitario etiope e di un’insegnante montessoriana americana, è fuggita dal suo Paese con la famiglia quando aveva solo sette anni e oggi vive e lavora a New York. Tra gli importanti riconoscimenti, c’è il MacArthur Award e l’American Art Award conferito dal Whitney Museum of American Art ricevuti nel 2005, e nel 2007 il Berlin Prize: Guna S. Mundheim Fellowship dell’Accademia americana di Berlino. Tra le sue esposizioni più significative e recenti si contano quelle al Los Angeles Museum of Contemporary Art nel 2020, al Whitney Museum of American Art a New York del 2021 e al Walker Art Center di Minneapolis (Minnesota) tra il 2021 e il 2022, presente alla Biennale di Venezia nel 2019.

«I suoi primi dipinti, continua la curatrice, assomigliano a mappe su cui sono disposti spostamenti di popoli, migrazioni e collisioni di ogni tipo, fino alla sua serie più recente dove utilizza immagini fotografiche di guerre manipolate digitalmente. Ha anche reso ripetutamente omaggio ad artisti, leader e intellettuali afroamericani, dai musicisti free jazz e minimalisti John e Alice Coltrane e Julius Eastman, agli scrittori Chinua Achebe e Toni Morrison. Hanno tutti un’enorme importanza per lei e hanno svolto in un certo senso il ruolo di stelle guida. Parla spesso di lei e di alcuni degli artisti in mostra, molti dei quali hanno vissuto un’esperienza, fondante o formativa, di fuga o abbandono del loro Paese, come di “figli di rivoluzioni fallite”».

Così le acqueforti «Intimacy» sono il risultato di mesi di dialogo e collaborazione con Robin Coste Lewis, mentre gli interventi scultorei di Nairy Baghramian sul lavoro di Mehretu «lo ravvivano ulteriormente», come spiega lei stessa che è anche protagonista di due film di Tacita Dean che la mostrano al lavoro e mentre dialoga con l’artista Luchita Hurtado. «Altri lavori cruciali nella mostra, conclude Bourgeois, dai “body prints” e i “teloni dipinti” di David Hammons, l’Incarnator di Pauf Pfeiffer o i dipinti poetici di Jessica Rankin, fino ai ricami e le sculture simili ad alieni di Huma Bhabha, offrono sorprendenti echi visivi e concettuali alle opere di Mehretu».

Leggi anche:
Il termometro del mercato: Julie Mehretu

Camilla Bertoni, 15 marzo 2024 | © Riproduzione riservata

Altri articoli dell'autore

A Cortina d’Ampezzo una selezione di 200 opere (da Funi a Sironi, da Savinio a Léger) dalla collezione il cui proprietario voleva rimanesse tra le sue montagne 

Per il centenario del museo in provincia di Trento sono state riunite 90 opere che documentano le origini del Rinascimento nei territori di frontiera da cui passò l’artista tedesco

Sandra e Giancarlo Bonollo espongono nel Collegio e nell’ex Chiesa delle Dimesse (abbandonati da 10 anni) la loro collezione di 600 opere d'arte contemporanea raccolte in 25 anni

Vincitrice del Premio Nivola per la Scultura 2023, l’artista è protagonista di una mostra che accosta le sue opere a quelle di colleghi «come in un recinto in cui discorsi artistici diversi possono risuonare insieme»

A Palazzo Grassi Julie Mehretu e i figli delle rivoluzioni fallite | Camilla Bertoni

A Palazzo Grassi Julie Mehretu e i figli delle rivoluzioni fallite | Camilla Bertoni