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Emmanuel Guigon dallo scorso ottobre dirige il Museu Picasso di Barcellona. Foto: Xavier Torres-Bachetta, Museu Picasso, Barcellona

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Emmanuel Guigon dallo scorso ottobre dirige il Museu Picasso di Barcellona. Foto: Xavier Torres-Bachetta, Museu Picasso, Barcellona

«Voglio aprire il Museu Picasso di Barcellona all'arte contemporanea e a nuovi pubblici»

Il neodirettore Emmanuel Guigon annuncia i programmi del 2017 e promette grandi cambiamenti: spazi espositivi triplicati, un premio per artisti mid career e una rivista di studi picassiani

Roberta Bosco

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Barcellona. Estroverso ed entusiasta, Emmanuel Guigon (Besançon, 1959) è pronto a svelare la sua strategia per il Museu Picasso di Barcellona che dirige dallo scorso ottobre. Esperto di avanguardie storiche e di arte europea del dopoguerra, ha pubblicato numerosi libri e articoli e curato innumerevoli esposizioni. Sognatore e patafisico dichiarato, ma realista, serio e deciso «quand il faut», espone le sue idee con passione e veemenza in uno spagnolo perfetto nonostante il forte accento francese.

Emmanuel Guignon, che cosa l’appassiona di più del suo ruolo di direttore?
Io sono una persona visiva, quindi mi appassiona l’«accrochage». Accostare un quadro a un altro è come comporre un poema: la prima parola e l’ultima sono molto importanti e in mezzo si svolge la storia. Ho tanti difetti ma se c’è qualcosa che so fare e mi piace è allestire una mostra. Voglio silenzio, la sala vuota e poi quando inizio sono rapido. È un processo a volte contraddittorio. Disegnare una mostra significa creare una storia tra le opere e con lo spazio, rispettando l’artista e il pubblico. Un buon allestimento è didattico di per sé. Naturalmente si devono utilizzare tutti gli strumenti tecnologici attuali ed essere presenti sui social, ma l’allestimento è fondamentale.

I suoi obiettivi principali per il Museu Picasso?
Credo nella diffusione e nell’importanza di moltiplicare i pubblici e per farlo dobbiamo trovare nuovi modi per comunicare e mostrare le opere. In autunno concluderemo i lavori con cui triplicheremo lo spazio dedicato alle mostre temporanee e lo inaugureremo con quattro rassegne in contemporanea. Bisogna rinnovare gli allestimenti, ma non solo: il cambiamento dev'essere profondo, totale. Inoltre dobbiamo dare più visibilità internazionale al museo e agli studi che effettuiamo. In passato il museo ha pubblicato splendidi cataloghi, della cui esistenza nemmeno io ero al corrente: è evidente quindi che non hanno avuto nessuna diffusione e pertanto sono inutili.

Come pensa di riallestire la collezione permanente?
Picasso è mitico, è un'icona dell’arte moderna; nei suoi 70 anni di vita è stato un re, un artista che si è cimentato in tutti i campi della creazione. Ma non era solo, intorno a lui aveva un mondo e io lo voglio plasmare nell’allestimento. Voglio alternare le opere della collezione con la sua gente, la famiglia, gli amici di gioventù e gli altri artisti dell’epoca, gli architetti e i poeti. Ci saranno fotografie e film sulla Barcellona di quel periodo. Anche l’allestimento della serie de «Las Meninas», un altro dei punti forti del museo, sarà rinnovato. Compreremo opere e chiederemo prestiti a lungo termine. Naturalmente dobbiamo rafforzare le relazioni con tutti i membri della famiglia Picasso.

Oltre alla collezione, con quali altri richiami pensa di attirare nuovi pubblici?
Voglio dedicare una sala all’arte contemporanea sperimentale, collegata alle nuove tecnologie e ai new media, che dialoghi concettualmente con Picasso. Voglio lavorare con artisti giovani e locali. Inoltre istituiremo il Premio Sabartés-Museu Picasso per la Creazione Contemporanea, dedicato ad artisti mid-carrer. Ci sarà anche una nuova sala didattica interattiva. D’altra parte, pur essendo Picasso molto attuale, molto presente e molto riconosciuto, non c’è una rivista picassiana. Ne creeremo una con diffusione internazionale capillare, per divulgare le nostre ricerche. Si pubblicherà in quattro lingue, in collaborazione con i musei Picasso e i tre grandi proprietari delle maggiori collezioni dell’artista il Pompidou, il MoMA e il Metropolitan.

Del Museo Picasso si dice che è un museo per turisti. Come pensa di aprirlo alla città?
Sappiamo che è un museo per turisti, ma pur sempre turisti culturali. Secondo un’inchiesta recente più del 70% dei visitatori ha studi superiori, anche se non si può negare che solo il 2,5% è di Barcellona, il 2,3% catalano e il 2% del resto della Spagna; in ogni caso superiamo il milione, quindi non possiamo lamentarci. Il Picasso di Parigi ha una collezione più vasta e opere dei periodi più famosi, ma molto meno pubblico.
Oltre al programma, per attirare il pubblico locale voglio riorganizzare il pianterreno, un susseguirsi di grandi spazi bellissimi con i soffitti a volte e le pareti di pietra, ma bui, freddi e tristi. Voglio trasformarlo in una «rambla» gratuita, aperta alla città con uno schermo video e altri display. Ci sono sale con splendidi soffitti rinascimentali che adesso accolgono l’ufficio informazioni e il guardaroba, mentre potrebbero raccontare la storia del museo.

Quali sono i progetti espositivi più importanti a cui sta lavorando?
Per il 1918 stiamo preparando due mostre importanti, veri e propri blockbuster. Una, del tutto inedita, s’intitolerà «La cucina di Picasso». Per tutta la vita Picasso ha dipinto la stanza della cucina e i suoi strumenti, che ha utilizzato anche in sculture e assemblage; ha dipinto ortaggi e vegetali, rifacendosi alla tradizione della natura morta spagnola e creato numerosi oggetti in ceramica. La sua poesia parla di un rapporto erotico con il cibo, così come tratta di fornicazione tra gli alimenti un’opera di teatro imprescindibile, «Il desiderio preso per la coda», un canto all’ottimismo e alla libertà, pre Ionesco, scritto nel 1941 e rappresentato anche dal Living Theatre con musica dei Soft Machine, a Saint Tropez. Sarà una mostra cronologica, con opere poco conosciute come il Manifesto della Cucina Cubista di Apollinaire, ma anche una mostra divertente e popolare che può cambiare la visione che abbiamo di Picasso e interessare nuovi pubblici.
L’altra analizzerà il rapporto tra Picasso e Paul Éluard, che tra l’altro nel 1936  presentò l’ultima mostra di Picasso a Barcellona prima dello scoppio della Guerra Civile.

La rete dei musei Picasso (a Parigi, Barcellona, Malaga, Antibes e Graphikmuseum Picasso di Münster, in Germania) funziona o è solo una chimera?
È vero che per alcuni periodi non c’è stata molta collaborazione, ma ora potenziare la rete è una priorità. Oltre ai prestiti e alle mostre in comune, firmeremo presto un accordo per unire le forze ed elaborare un modo di pensare e di studiare usando gli stessi strumenti informatici allo scopo di condividere database e cataloghi e unificare definitivamente la cronologia di Picasso.

Emmanuel Guigon dallo scorso ottobre dirige il Museu Picasso di Barcellona. Foto: Xavier Torres-Bachetta, Museu Picasso, Barcellona

Palau Berenguer d'Aguilar, sede del Museu Picasso di Barcellona

Roberta Bosco, 13 febbraio 2017 | © Riproduzione riservata

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