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Andrew Brook, «bunyiyanha». Chatou-Parigi, Musée d’Art et de Culture Soufis Mto

Foto: Manuela De Leonardis

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Andrew Brook, «bunyiyanha». Chatou-Parigi, Musée d’Art et de Culture Soufis Mto

Foto: Manuela De Leonardis

Vibrazioni e risonanza al Musée d’Art et de Culture Soufis (Macs Mto) di Chatou

Un dialogo tra la collezione di oggetti sufi e le arti visive e sonore del primo museo al mondo dedicato all’arte e alla cultura sufi nel sobborgo di Parigi

Quel setar realizzato da un artigiano persiano in legno intarsiato con osso e corno non è soltanto un prezioso oggetto da collezionare. La bellezza di questo strumento musicale dal collo lungo e dalla cassa armonica, le cui corde pizzicate dal plettro producono una melodia che attraversa il tempo, intercetta l’importante valore simbolico che lo accompagna. Un’eredità culturale tramandata di generazione in generazione che è strettamente connessa con il Sufismo. Infatti, l’armonia prodotta da questo piccolo liuto ha accompagnato nei secoli i canti devozionali e i poemi mistici di Rumi e Hafez in Persia e anche nelle regioni settentrionali del subcontinente indiano, dove hanno preso la forma di «qawwali».

Non è un caso, quindi, che sia proprio il setar del XX secolo ad accogliere il visitatore all’ingresso del Musée d’Art et de Culture Soufis (Macs Mto), il primo al mondo dedicato all’arte e alla cultura sufi, accompagnandolo simbolicamente nel viaggio di conoscenza, tra misticismo e spiritualità, sonorità e arti visive, che è tra gli obiettivi del museo stesso. Inaugurato un anno fa nell’elegante sobborgo parigino di Chatou, frequentato alla fine del XIX secolo dai pittori impressionisti, questo museo privato fondato dall’organizzazione internazionale Maktab Tarighat Oveyssi Shahmaghsoudi-Scuola di Sufismo Islamico e sostenuto dalle associazioni filantropiche American Friends of Sufi Arts, Culture and Knowledge (Afsack) e Canadian Friends of Sufi Arts, Culture and Knowledge (Cfsack) ospita attualmente, fino al 4 gennaio 2026, la sua seconda mostra «Corps à cordes: Vibrations et résonance», curata da Elena Sorokina e Simona Dvorák e accompagnata dal catalogo bilingue francese/inglese.

Nei circa 600 metri quadrati di spazi espositivi restaurati e riallestiti dallo studio Ducatillion Gimel Architecture e dall’Atelier Maciej Fiszer specializzato in scenografie museografiche, l’esposizione, nel sottolineare il senso di continuità tra alcuni pezzi della collezione che comprende manoscritti, tessuti, calligrafie, ceramiche (tra cui il «mihrab» di piastrelle policrome e specchi, elemento architettonico che nella moschea indica ai fedeli la direzione della Mecca dove pregare) dal IV secolo a.C. ad oggi e le opere d’arte visive e sonore commissionate alle artiste e artisti internazionali Rada Akbar, Brook Andrew, Meris Angioletti, JJJJJerome Ellis, Marie-Claire Messouma Manlanbien, Sara Ouhaddou e Paula Valero Comín, insieme ad altre di Nevin Aladağ, Katy’taya Catitu Tayassu, Célia Gondol, Yoshimi Futamura, Guadalupe Maravilla, Vesna Petresin e Charwei Tsai, indaga il tema dell’amore come conoscenza, memoria, elevazione, trasmissione spirituale. Secondo l’insegnamento di Rumi, l’amore è una forza irresistibile, cosmica, alla base della trasformazione spirituale nell’unione con il Divino che si esprime attraverso una conoscenza interiore dell’individuo che ambisce all’infinito e che, come propone la mostra, transita sia attraverso la pratica del visibile sia dell’invisibile: il suono, la vibrazione, la meditazione e l’ascolto.

«Concepita come un’esperienza sia sensoriale sia introspettiva, questa mostra riunisce opere contemporanee in dialogo con pezzi sufi provenienti dalle collezioni del museo, come la raccolta di poesie “Message from the Soul” del maestro sufi Molana Shah Maghsoud Sadegh Angha musicate dalla pianista e compositrice americana Amy A. Wurtz in dialogo con le opere della serie “UT-Arcane XXI. Partition pour 4 éléments” (2025) realizzate dall’artista Meris Angioletti», spiega la curatrice Elena Sorokina. Tra le artiste e artisti che provengono da geografie lontane (dall’Afghanistan al Giappone, dall’Australia al Marocco, dal Brasile a Taiwan, dalla Turchia agli Stati Uniti), molti portano con sé storie personali di esilio e dislocamento e nel loro essere «guardiani di storie, canzoni, ricette e tradizioni orali» si fanno portavoce di una continuità che diventa forma di amorevole resistenza e anche cura di un patrimonio culturale personale e collettivo.

Ad esempio, l’invocazione alla luna di Sara Ouhaddou che riprende il poema berbero «Invocation è la lune» di Mririda n’Ait Attik, nell’entrare in relazione con i due mantelli di lana appartenuti a maestri sufi restituisce anche il ricordo dell’aspetto performativo del gesto stesso del maestro di togliersi l’indumento per consegnarlo al discepolo che lo indosserà, in una trasmissione dell’insegnamento che continua il suo percorso vitale. Oggetti iconici per eccellenza, i «kashkul», contenitori utilizzati dai sufi per raccogliere le offerte, realizzati sia in metallo sia con i frutti decorati di coco de mer offrono, poi, un punto di vista diverso attraverso la vicinanza con le sculture della serie «Rebirth» di gres e porcellana di Yoshimi Futamura concepite quasi in maniera organica, oppure all’ultimo piano dell’edificio nella sezione «Il suono come cura» (le altre due sono «Trasmissione del sapere» e «Il corpo risonante»), all’interno dell’installazione site specific di Brook Andrew che nel titolo «bunyiyanha» riprende una parola del popolo aborigeno wiradjuri che significa vibrare.

A un anno dall’apertura con la mostra «Un Ciel intérieur», il Musée d’Art et de Culture Soufis (Macs Mto) propone anche un programma di conferenze, laboratori ed eventi che illustrano il contributo del Sufismo alla cultura nel mondo. «Il giardino con la suggestiva fontana sarà aperto al pubblico gratuitamente, spiega Claire Sahar Bay, presidente del consiglio di amministrazione, mentre ricercatori e studiosi hanno già la possibilità di consultare l’importante collezione di 1.200 manoscritti e libri antichi («il libro più antico è un manoscritto del XVII secolo di Muṣībat-Nāma e Pand-Nāma del poeta, sufi e agiografo del XIII secolo ʿAttar di Nishapur») e 400 pubblicazioni relative al Sufismo e all’Islam scritte in arabo, francese, inglese e farsi.

Manuela De Leonardis, 28 settembre 2025 | © Riproduzione riservata

Vibrazioni e risonanza al Musée d’Art et de Culture Soufis (Macs Mto) di Chatou | Manuela De Leonardis

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