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«Untitled» (2005) di Mario Merz, Stazione Vanvitelli, Metro Napoli

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«Untitled» (2005) di Mario Merz, Stazione Vanvitelli, Metro Napoli

Viaggiare con gli esperti | Il contemporaneo a Napoli è sotterraneo

Un percorso da fare in metropolitana: dalle stazioni firmate Aulenti, Mendini, Fuksas e tanti altri alle opere di Kounellis, Kentridge, Wilson, Merz, Zorio, Paolini, Pistoletto...

Valeria Tassinari, Massimo Bignardi

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Città dei labirinti, dei molti livelli, di percorsi in cui ci si potrebbe perdere facilmente, senza qualcuno del luogo che ti guidi lo sguardo. Nella Napoli dell’arte contemporanea ci accompagna Massimo Bignardi, attento conoscitore del territorio. Se «è vero, osservava anni addietro Dieter Richter, tra i maggiori studiosi del viaggio a Sud, che ogni cultura nasce in un continuo processo di incontro tra il “proprio” e l’“altro”, tra indigeno ed esogeno, il viaggio è uno dei modelli straordinari della genesi della cultura».

Il «voyage» contemporaneo risponde alle esigenze di un rapido e consapevole calarsi nelle molteplici realtà: è quindi l’incontro con l’arte, la gastronomia, gli usi e i riti della tradizione, tutto come se fosse un «inciampo». Un «inciampo», aveva affermato Achille Bonito Oliva, è l’incontro con le numerosissime opere d’arte contemporanea ambientate nelle stazioni della metropolitana di Napoli. Stazioni che segnano l’itinerario di un «petit tour», per molti versi «obbligatorio», per chi vuole vivere il clima della Partenope contemporanea.

Il progetto «Stazioni dell’Arte» s’inserisce, sin dai primi interventi, nel più ampio programma, varato dapprima dal Comune di Napoli nel 1994, poi dalla Regione Campania, attraverso la società Metrocampania Nordest srl, destinato a modificare profondamente la mobilità regionale e, al tempo stesso, sostenere una nuova pianificazione urbanistica, vale a dire «un piano di sistema, come affermava in quegli anni Elena Camerlingo, architetto e dirigente del Servizio infrastrutture di trasporto del Comune, e non un elenco di opere tra esse separate e scoordinate...».

Programma dagli ampi orizzonti (in primis, la realizzazione delle stazioni urbane Salvator Rosa, Quattro Giornate, Museo, Dante, Materdei, progettate dagli architetti Gae Aulenti, Alessandro Mendini e Domenico Orlacchio e inaugurate a partire dal 2001) che aveva messo in gioco esperienze dell’arte contemporanea nazionale e internazionale.

Poi, dal 2005, sono trasformate le stazioni Vanvitelli, Municipio, Garibaldi, Università, Toledo, quest’ultima ubicata alle pendici dei Quartieri Spagnoli, progettata dell’architetto spagnolo Óscar Tusquets, inaugurata nel settembre del 2012 e che, nel 2015, riceve il premio «International Tunnelling Association» (Oscar delle opere in sotterraneo). È la stazione più vicina alla nuova sede napoletana delle Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo, inaugurata il 21 maggio nel sontuoso edificio dell’ex Banco di Napoli, progettato da Marcello Piacentini.

Il percorso della Linea 1 si completa nel 2021 con la stazione Duomo, progetto di Massimiliano Fuksas, i cui lavori sono ancora in corso. Un segno dell’arte, preannunciava Bonito Oliva, che «non è semplice arredo o commento all’involucro architettonico, quanto piuttosto struttura interagente con quella preesistente dell’invaso architettonico, inciampo felice per lo sguardo del corpo sociale che attraversa tali spazi con attenzione e talvolta disattenzione». Per una visione complessiva di tale realtà, è importante ridurre all’essenziale il nostro tour e tracciare un percorso che permetta di avere un quadro d’insieme delle «Stazioni dell’Arte».

La partenza è dalla stazione Toledo, immersa in una quotidianità animata dal repertorio della gastronomia e pasticceria di tradizione partenopea, ove su tutte impera il profumo della «sfogliatella» calda e della «frolla» dell’ottocentesca pasticceria Pintauro: poco distante e dall’altro lato della strada, dal centro di piazza Ponte di Tappia svetta, per oltre diciassette metri di altezza, il «Mulino in ferro», opera commissionata dal Comune nel 1998 a Jannis Kounellis. Una volta imboccata la discesa, che porta all’atrio ipogeo della stazione, lo sguardo, ancora sotto la protezione del «Cavaliere di Toledo», una scultura a tuttotondo in acciaio corten di William Kentridge, viene rapito dai due grandi mosaici che lo stesso artista ha voluto dedicare a Napoli e alle figure centrali della sua millenaria storia.

Una storia che le tessere dei mosaici, poste in opera da Costantino Aureliano Buccolieri, riescono a tradurre, con i linguaggi della contemporaneità, raccontando i miti che avvolgono il mistero di Partenope: Pompei, il Vesuvio e l’incanto del golfo. È un salto tra colori quello che l’occhio del «voyageur» fa, passando dalla luminosa via Toledo alle piastrelle dal colore ocra, che richiama il giallo tufo, proprio del sottosuolo della città. Scendendo qualche rampa, c’imbattiamo nello spazio «Galleria del mare», opera di Bob Wilson che con il mosaico ha plasmato di azzurro e di blu le pareti attraversate, qua e là, da luci intermittenti, a simulare l’ondeggiare dell’acqua del mare, con al centro l’alto «zampillo» che ingloba in sé un pilastro strutturale.

Saliti sul treno, in direzione Piscinola, raggiungiamo la collina del Vomero, quartiere della Napoli residenziale dei primi del Novecento con storiche abitazioni d’impronta liberty, il quale ospita strutture museali come Castel Sant’Elmo, la Certosa di San Martino, la Villa Floridiana (che accoglie il Museo nazionale della ceramica Duca di Martina e dal cui parco si gode una vista dell’intero golfo). La stazione Vanvitelli, progettata nel 1993 dall’architetto Michele Capobianco, è stata restaurata nel 2004. All’arrivo ci accolgono. ai lati delle due banchine, i grandi pannelli serigrafici «Oriente e Occidente/East and West», realizzati da Vettor Pisani nel 2005.

Al suo interno, sulle scale che dall’atrio portano alle banchine dei treni, domina la volta azzurra, opera di Mario Merz, sulla quale campeggia un neon a spirale, scandito da una sua caratteristica successione di Fibonacci; ai lati delle scale, due grandi stelle in acciaio di Gilberto Zorio, dal titolo «(Le stelle) che siano di buon auspicio per un felice viaggio», del 2005. Nell’atrio della stazione ci s’imbatte in «Off limits», un’installazione di Giulio Paolini, dello stesso anno. Con Merz e Zorio, Paolini è tra gli artefici dell’Arte povera, dato che emerge con chiarezza in quest’installazione, nella quale egli assembla, secondo un evidente ingannevole e ironico registro teatrale, materiali diversi quali vetroresina, fiberglass, cavi di acciaio e pannelli in policarbonato.

Riprendiamo il treno in direzione di piazza Garibaldi, per far ritorno al centro città. Superate le stazioni Quattro Giornate e Salvator Rosa, ci fermiamo in quella Materdei, poco distante dal ben noto rione Sanità, quindi dal cuore della Napoli cinquecentesca, che aveva edificato su siti di sepoltura di epoca greco-romana, poi paleocristiana: ne sono testimonianze le catacombe, tra cui quella di San Gennaro. Ad accoglierci, alla banchina della stazione, «Wall drawings #1092» (2002) di Sol LeWitt, due grandi dipinti realizzati ad acrilico e caratterizzati da un forte dettato geometrico, posti ai lati del corridoio che separa le due banchine. Tra le altre opere spicca la grande volta mosaicata su disegni di Sandro Chia, coronata dalla guglia in vetro colorato progettata da Alessandro Mendini. Sui lati dell’atrio, un rilievo plastico di Luigi Ontani.

La sosta successiva è nella stazione Dante, progettata da Gae Aulenti e inaugurata nel 2002: la grande piazza si offre oggi a una molteplicità di attività e fa da indotto ai tre grandi poli culturali, il Museo Archeologico Nazionale, tra i principali in Europa, la storica Accademia di Belle Arti e, infine, il Conservatorio di San Pietro a Majella. Salendo le scale che dalle banchine ci portano al centro della piazza, ove troneggia la statua dell’Alighieri (voluta da Luigi Settembrini e realizzata nel 1862 dagli scultori Tito Angelini e Tommaso Solari), c’imbattiamo in una sequenza di opere di grandi nomi dell’arte italiana contemporanea.

L’installazione «Senza titolo» di Jannis Kounellis propone, bullonate alle pareti, due putrelle in acciaio che stringono scarpe, cappelli, soprabiti mal piegati, insomma reperti di un viaggio esistenziale. Sulle scale che dalle banchine portano al livello superiore si affaccia la grande installazione di Joseph Kosuth, «Queste cose visibili»: si tratta di un sottile neon che, con la ben nota grafia dell’artista concettuale, trascrive un brano tratto dal Convivio di Dante. Alla fine della rampa che ci conduce verso l’uscita, nello spazio che dà accesso alle scale mobili, il lungo e coloratissimo bassorilievo in mosaico di Nicola De Maria, intitolato «Universo senza bombe, regno dei fiori. 7 angeli rossi». Dai varchi delle scale mobili si affacciano le opere di Michelangelo Pistoletto, dal titolo «Intermediterraneo»: specchi sui quali l’artista ha riportato i contorni del Mediterraneo, in omaggio alla centralità che Napoli, nei millenni, ha assunto quale città di scambio delle culture che si affacciano sul mare di Ulisse.

Usciti all’esterno, siamo al centro della piazza; sulla sinistra, l’antica Port’Alba, con le tipiche librerie, le insegne di vecchie case editrici e, più in là, la notissima pizzeria, che si slancia su piazza Bellini, ove di solito il «voyageur» sosta per gustare la classica, irripetibile, pizza «fritta». Napoli, come scriveva Curzio Malaparte, «è l’altra Europa. Che la ragione cartesiana non può penetrare».

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«Universo senza Bombe, regno dei fiori, 7 angeli rossi» (2002) di Nicola de Maria, Stazione Dante, Metro Napoli

«Galleria del mare» (2012) di Bob Wilson, Stazione Toledo, Metro Napoli

Valeria Tassinari, Massimo Bignardi, 24 giugno 2022 | © Riproduzione riservata

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