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Cyrus Naji
Leggi i suoi articoliÈ stato un anno intenso per Marina Tabassum, la prima architetta sudasiatica, in 25 anni dell’iniziativa, a progettare il Serpentine Gallery Pavilion a Londra. La sua installazione, «A Capsule in Time», sarà inaugurata nei Kensington Gardens ad Hyde Park venerdì 6 giugno (fino al 26 ottobre), ma Tabassum ha iniziato a lavorarci la scorsa estate, proprio mentre una rivoluzione popolare scuoteva il suo Paese natale, il Bangladesh. Dopo che nel giro di qualche settimana una dittatura durata 15 anni è andata in pezzi, Tabassum ha ricevuto l’incarico di dirigere cinque musei del Paese e di crearne uno nuovo, dedicato proprio alla recente rivolta. Un ruolo perfetto per chi, nella sua pratica architettonica, ha sempre cercato di valorizzare i materiali regionali, le comunità e le culture indigene del Bangladesh.
Quando ha iniziato a lavorare nella capitale del Paese, Dacca, negli anni ’90, la città fondata dai Moghul in un’ansa del vasto fiume Buriganga, poi ampliata dagli inglesi per amministrare la provincia del Bengala orientale, contava 8 milioni di abitanti. Alla fine del ’900 era un luogo relativamente tranquillo, con ampi viali, solide ville in mattoni e grandi frutteti. Oggi la sua popolazione supera i 24 milioni di abitanti, le autostrade sono caotiche e le infrastrutture inadeguate alla domanda. Un tempo, per arrivare dal quartiere di Tabassum all’aeroporto bastavano 20 minuti; ora ci vogliono più di due ore.
«A Dacca c’è un’enorme crisi abitativa, racconta Tabassum a “The Art Newspaper” nel suo ufficio della capitale. La gente emigra in città perché in altre parti del Paese non ci sono opportunità. Non è una scelta, è una necessità». I costruttori di solito realizzano enormi profitti costruendo palazzi di cemento a più piani su singoli appezzamenti di terreno. Tabassum, invece, preferisce lavorare con materiali come il legno, il mattone e il fango, che a livello locale abbondano. «Mi interessa di più l’architettura che ha un certo impatto», afferma.
Attraverso la Foundation for Architecture and Community Equity (Face), da lei fondata nel 2018, Tabassum progetta unità abitative modulari a basso costo per le persone che vivono sulle isole del basso delta del Bangladesh o su fiumi così larghi che da una sponda non si riesce a scorgere quella opposta. Conosciute come char, queste isole sono regolarmente soggette a inondazioni e spesso scompaiono del tutto, ma le comunità locali dipendono da esse per vivere. «Ci sono case sulle char che sono sopravvissute per generazioni, prosegue l’architetta, ma che sono state spostate una quindicina di volte»
Case che resistono alle inondazioni
Il Bangladesh è sempre più minacciato dai cambiamenti climatici e dall’erosione idrogeologica, pertanto queste comunità sono costrette a spostarsi con più frequenza e faticano a sbarcare il lunario. Tabassum ha quindi progettato per gli abitanti delle char una casa modello che ha chiamato Khudi Bari. Sono case di facile costruzione che le comunità assemblano sotto la supervisione di un falegname nominato da Face, lavorando secondo il progetto di Tabassum. «È solo una struttura a due piani abbastanza resistente da sopportare i temporali e la pressione dell'acqua durante le inondazioni, spiega l’architetta. Così ora durante le inondazioni non devono più trasferirsi: basta aprire la facciata del piano inferiore per far defluire l’acqua».
Il progetto è stato concepito all’insegna della sostenibilità. «Noi li aiutiamo con i materiali come il legno e i connettori in acciaio, che sono l'elemento più sofisticato dell'intero progetto, ma loro devono mettere a disposizione il loro tempo e la loro manodopera, quindi sono dei veri e propri partner del progetto», chiarisce Tabassum. Finora è stato un successo. «Quando devi spostarti in continuazione, perdi la voglia di creare qualcosa di bello, ma ora vediamo che le persone aggiungono elementi alle case, le utilizzano in modo diverso. È bello da vedere».
Il Serpentine Pavilion di Tabassum si basa sugli stessi principi. Costruito intorno a un gingko biloba, s’ispira alle shamiyana, strutture a forma di tenda realizzate con tessuti decorati tesi su un telaio solitamente in legno, utilizzate in tutta l’Asia meridionale per ospitare eventi come matrimoni o feste religiose. La loro temporalità ha per lei un significato particolare: «In tutto il subcontinente, ricorda, le abitazioni sono fatte di materiali fragili provenienti dalla natura, quindi hanno una durata più breve e devono essere rinnovate abbastanza spesso». È usandole che le si preserva: Tabassum ha quindi dato priorità all’esperienza di trovarsi all’interno della struttura. «Abbiamo cercato di catturare la sensazione di trovarsi al suo interno, la luce che è piuttosto traslucida».
Gran parte della cultura che lei preserva in qualità di presidente dell’organo direttivo del Museo Nazionale del Bangladesh è caratterizzata dallo stesso tipo di impermanenza. Ad esempio, il ricco patrimonio di arte popolare del Paese, che comprende sculture in terracotta dipinta, dipinti su rotoli straordinariamente raffinati (noti come «pattachitra») e intricati patchwork ricamati (i «nakhshi kantha»), è stato essenziale per la sensibilità estetica di artisti del ’900 come Quamrul Hasan e Zainul Abedin, figure centrali nello sviluppo dell'arte moderna bangladese.
«L’arte popolare non è congelata nel tempo, dice Tabassum. Alcune cose, come la qualità dell'artigianato, sono andate perdute, ma hanno continuato a essere utilizzate». Per ora la sua sfida più grande è quella di catalogare e conservare adeguatamente questi e molti altri manufatti fragili e preziosi presenti nelle collezioni statali del Bangladesh. «I musei hanno collezioni molto ricche, che però non sono visibili al pubblico, perché il 90% è conservato nei depositi».
In un Paese con scarse risorse finanziarie, i musei non sono mai stati una priorità, ma nonostante ciò il Bangladesh ha raggiunto livelli sorprendenti. Nelle gallerie mancano i curatori, i depositi non hanno aria condizionata e deumidificatori e interi musei non dispongono di inventari. «La nostra prima priorità è verificare come vengono conservati e documentati i reperti, afferma Tabassum. Poi dobbiamo trovare una curatela adeguata». Il Bangladesh possiede uno straordinario patrimonio di pittura, incisione e scultura moderna che merita un posto accanto alle grandi conquiste del modernismo asiatico. I compratori internazionali stanno iniziando a scoprirlo adesso, ma per decenni all’interno del Paese è stato trascurato, e migliaia delle opere migliori giacciono invisibili nei depositi governativi. Le ragioni di questo stato di cose raccontano, per molti versi, la storia del Bangladesh moderno: corruzione, politicizzazione e degrado delle istituzioni. Tabassum è determinata a invertire questa tendenza: «È il nostro patrimonio culturale, la nostra identità: abbiamo il dovere di preservarlo». Tuttavia deve lavorare con un budget limitato e una burocrazia in cui i cambiamenti sono lenti. Per un’architetta che ha sempre dato grande importanza all’impatto, questo potrebbe essere il compito più importante.

L’architetta Marina Tabassum. Foto © Asif Salman
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