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Davide Landoni
Leggi i suoi articoliCon la sua edizione inaugurale prevista a Doha per febbraio 2026, Art Basel Qatar non si limita a introdurre una nuova fiera nel calendario internazionale, ma mette in scena un vero e proprio racconto urbano diffuso, in cui l’arte diventa strumento di trasformazione e di ascolto del presente. Accanto all'esposizione principale che riunirà 84 artisti e 87 gallerie, il progetto prende forma anche attraverso gli Special Projects. Tra questi spiccano i ove interventi monumentali e site-specific, pensati per intrecciarsi con gli spazi culturali e pubblici di Msheireb Downtown Doha e per dare corpo al tema che attraversa tutta la fiera, Becoming. Curati da Wael Shawky in dialogo stretto con Vincenzo de Bellis, le opere compongono insieme un dispositivo narrativo che invita il pubblico a muoversi nella città e a confrontarsi con storie di trasformazione, identità e memoria che attraversano la regione MENASA e si proiettano ben oltre.
Il percorso si apre idealmente con Abraham Cruzvillegas, che porta a Doha una delle declinazioni più ambiziose del suo progetto «autoconstrucción». La sua pratica, fondata sull’idea che la scarsità generi ingegno, si traduce in un organismo scultoreo che cresce a partire dal nulla, assemblando materiali e possibilità come metafora dell’identità umana. Instabile, incompleta, in continua ricostruzione. All’interno dello spazio polifunzionale M7, Bruce Nauman trasforma lo spazio in un’esperienza percettiva totale. La nuova opera video in 3D «Beckett’s Chair Portrait Rotated» avvolge lo spettatore in un campo di luce e movimento, mettendo in tensione corpo, linguaggio e psicologia dello spazio. È un intervento che dialoga con la storia dell’arte contemporanea ma che, al tempo stesso, si inserisce nel tessuto architettonico di Doha come una presenza straniante e ipnotica.
Bruce Nauman, 'Beckett's Chair Portrait Rotated', 2025. Courtesy of Konrad Fischer Galerie
Rayyane Tabet’s (b.1983, Beirut, Lebanon), What Dreams May Come | أيُّ أحلامٍ قَدْ تأتي
Il suono e la performance diventano protagonisti con Hassan Khan, che presenta «Little Castles and Other Songs», una suite dal vivo di brani originali eseguiti attraverso un sistema digitale appositamente progettato. Nato in un periodo di forte instabilità globale, il progetto restituisce il battito emotivo di un mondo che sembra tremare sotto i piedi, alternando intimità e disorientamento, fragilità e resistenza. La dimensione politica dello spazio emerge con forza nel lavoro di Khalil Rabah. «Transition, among other things» è un’installazione stratificata, composta da frammenti provenienti da contesti domestici, istituzionali e industriali, ricomposti in nuove architetture scultoree. Oggetti apparentemente marginali diventano indizi di una memoria ambientale segnata dall’occupazione e dalla perdita, interrogando il valore mutevole dei resti materiali e il modo in cui lo spazio viene continuamente negoziato.
Sulla facciata dell’M7, Nalini Malani trasforma il centro di Msheireb in una superficie narrativa. La sua proiezione monumentale «My Reality Is Different» intreccia mito, storia e esperienza personale, portando nello spazio pubblico immagini incalzanti che parlano di migrazione, frattura e resilienza. La città diventa così schermo e testimone di una realtà che rifiuta di essere semplificata. Il tema del divenire assume una forma più intima e fragile nell’installazione di Nour Jaouda. La sua «Matters of Time», una casa di riposo immaginaria costruita attraverso strutture metalliche, disegni e tessuti sospesi, non è ancorata a una geografia precisa, ma a una dimensione emotiva. È uno spazio incompiuto, quasi scheletrico, in cui memoria e immaginazione si sovrappongono, dissolvendo i confini tra rurale e urbano, passato e futuro.
Nour Jaouda, 'Matters of Time', 2025. Installation view featuring 'The Iris Grows on Both Sides of the Fence', 2025 at Spike Island, Bristol. Courtesy of the artist
Sumayya Vally (b. 1990, South Africa), In the Assembly of Lovers
Rayyane Tabet invita invece il pubblico a entrare in uno stato di sospensione con «What Dreams May Come | أيُّ أحلامٍ قَدْ تأتي». Il padiglione circolare ispirato al gesto semplice del riposare sotto una palma utilizza foglie naturali e artificiali per creare un santuario condiviso, un luogo in cui il sogno diventa spazio architettonico e occasione di introspezione collettiva, riflettendo i paesaggi culturali in trasformazione del Golfo. Con Sumayya Vally, l’architettura si fa organismo sociale. «In the Assembly of Lovers» reimmagina il majlis come struttura viva e mutevole, ispirata a luoghi emblematici del mondo musulmano e intitolata a una frase della mistica Rabia al Adawiyya. L’installazione cambia forma durante la fiera per accogliere incontri e conversazioni, diventando un monumento temporaneo alla presenza collettiva e al potere dello stare insieme.
A chiudere idealmente questo itinerario è Sweat Variant - il progetto collaborativo di Okwui Okpokwasili e Peter Born - con un’opera performativa senza titolo e senza fine prestabilita. Per tre ore, quattro performer abitano un paesaggio visivo e sonoro in continua mutazione, mettendo alla prova i limiti dell’attenzione e della memoria condivisa. Il pubblico è libero di entrare e uscire, diventando parte di un flusso che esplora l’eredità incarnata e la possibilità di sostenersi reciprocamente. Nel loro insieme, i nove interventi promettono di trasformare Art Basel Qatar in un’esperienza diffusa e profondamente immersiva.
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