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«Le baiser de l’Hôtel de Ville, Paris 1950», di Robert Doisneau, esposta a Camera, Torino. © Robert Doisneau

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«Le baiser de l’Hôtel de Ville, Paris 1950», di Robert Doisneau, esposta a Camera, Torino. © Robert Doisneau

Sulla fotografia, cari governanti, sapete che vi dico? Siete sempre indietro

Parigi insegna, pervasa com’è di esposizioni e spazi. C’è l’esempio di Torino e in Italia facciamo comunque buone mostre, ma Milano e Roma non hanno ancora nessun luogo, nessun museo dedicato al settore

Walter Guadagnini

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Di ritorno da un paio di trasferte a Parigi, tra fine gennaio e inizio febbraio, quindi certamente non alta stagione, con in mezzo la consueta malefica «grève» che svuota ancor più la città, una bella mostra sull’Arte povera e la fotografia in contemporanea al Jeu de Paume e a Le Bal (che peraltro sarà meritoriamente in Triennale a Milano in maggio); Fondazione Henri Cartier-Bresson chiusa, perché in attesa di aprire due nuove mostre, Paul Strand e i viaggi in Messico di HCB e di Helen Levitt; inaugurazione della mostra di Zanele Muholi alla Maison Européenne de la Photographie; curiosa mostra nello spazio fotografico del Pompidou sul rapporto tra fotografia coloniale e Surrealismo, nonché il Festival Hors Pistes, sempre al piano meno uno, tema la guerra, autori giovani, tra fotografia, cinema e video, purtroppo mancato il tempo per vederlo meglio.

Non è la solita litania, anzi sì, lo è: ma è mai possibile che a Milano e a Roma non ci sia uno spazio, uno, dedicato esplicitamente alla fotografia? Quando i nostri lungimiranti governanti si renderanno conto che senza quello spazio in quelle città la cultura fotografica italiana sarà sempre qualche passo indietro rispetto a quelle dei Paesi a noi vicini? No, caro lettore, non mi dire che ai nostri politici lungimiranti della fotografia (e della cultura in generale) frega poco o nulla, che lo so anch’io, la domanda è retorica, ma bisogna continuare a porla, perché poi a uno viene in mente la vicenda tragicomica del MuFoCo di Cinisello Balsamo e della Triennale di Milano e si spiega un sacco di cose.

Tanto rumore per nulla, verrebbe da dire: nel 2020 l’allora ministro Franceschini che annuncia in pompa magna la nascita del grande museo nazionale della fotografia a Milano, dall’unione per l’appunto di MuFoCo e Triennale; trascorrono due anni di poco o nulla, fino all’allarme della primavera 2022, «il MuFoCo chiude» con annessa immancabile petizione; a metà ottobre il comunicato stampa che a Cinisello riprendono le attività, con mostre, convegni e quant’altro, come se niente fosse, mentre la Triennale continua il suo (ottimo) programma di collaborazione con la Fondazione Cartier e lo stesso Jeu de Paume, e vissero tutti felici e contenti.

Con il magnifico risultato che il museo (nazionale) della fotografia contemporanea (che ha belle e importanti collezioni) ostinatamente, pervicacemente, verrebbe da dire perversamente, continua a stare a Cinisello Balsamo, fuori da qualsiasi rotta non solo turistica, ma nemmeno specialistica. E in città solo mostre saltuarie, spesso affidate all’iniziativa privata. E poi dice che non bisogna fare (e farsi) delle domande. Ma bando alle malinconie, tante altre cose sono accadute nel corso dell’anno, ecco dunque le buone e le cattive notizie a insindacabile giudizio di chi scrive (che in alcune di esse è coinvolto, caro lettore, senza ipocrisie).

Le buone notizie…
Ha aperto in maggio la quarta sede delle Gallerie d’Italia a Torino, interamente dedicata alla fotografia e all’immagine in movimento. È una buona notizia a prescindere, perché significa che il maggiore investitore in cultura d’Italia considera la fotografia una pratica, un linguaggio degno di uno spazio a sé (peraltro nel centro di una grande città), che ha pari dignità di quelli dedicati alla pittura moderna e contemporanea o all’arte classica (le Gallerie di Milano, Napoli e Vicenza).

Con questo intervento Torino riconferma la sua antica e recente vocazione fotografica, come testimoniano anche gli oltre 50mila visitatori della mostra di Doisneau a Camera, la continuità di una fiera coraggiosa come The Phair, interamente concentrata sulla fotografia, e l’attività di numerosi, piccoli ma intelligenti spazi gestiti da giovani attenti alla ricerca, mentre per il 2023 viene annunciata la nascita di un festival fotografico che coinvolge tra i promotori Comune, Regione e le principali Fondazioni bancarie cittadine.

Ancora a proposito di festival, bella la notizia del premio ricevuto da Fotografia Europea di Reggio Emilia quale Photo Festival of the Year 2022 ai Lucie Awards, tra i massimi riconoscimenti mondiali in ambito fotografico, a dimostrazione che la progettualità alla lunga paga. Di progettualità sicuramente necessita l’Azienda Speciale Palaexpo di Roma, alla cui presidenza è stato nominato in giugno Marco Delogu. Fresco di un periodo egregiamente svolto quale direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Londra, Delogu è una figura che, per la sua storia professionale, senza dubbio guarderà con la dovuta attenzione il mondo della fotografia nel suo complesso, e ciò non può che essere considerato un buon segnale.

... e le cattive
Aprire il sito e leggere che a Venezia «La Casa dei Tre Oci è chiusa al pubblico» non è bello, anche se la notizia della sua vendita al Berggruen Institute è del 2021 e anche se a fine marzo si è aperto un altro spazio (Le Stanze della Fotografia) dedicato alla fotografia nella città lagunare.

La mostra di Sabine Weiss durata a lungo e soprattutto aperta nel periodo della Biennale aveva per così dire anestetizzato la notizia, ma la realtà è che gli spazi fotografici pagano errori di valutazione compiuti da chi non conosce le dinamiche di questo mondo e pensa che la fotografia attiri sempre e comunque il pubblico «perché è alla portata di tutti», e, costando poco in termini di organizzazione di mostre, sia sempre e comunque vantaggiosa: il meraviglioso mondo delle «idées reçues»(chi scrive imporrebbe come lettura obbligatoria sin dalle scuole elementari l’omonimo dizionario di Flaubert).

A proposito di costi, ci si domanda quanto verrebbe a costare il trasferimento di una parte dell’Archivio Alinari da Firenze a Montecatini, come proposto in una conferenza stampa di fine estate dal presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani. Idea curiosa di per sé, e che ci si augura non abbia seguito, ma che merita di essere riportata per segnalare il rischio e per chiudere con una nota umoristica, dato che uno dei vantaggi di questo spostamento sarebbe «il decongestionamento di Firenze», città notoriamente invasa da milioni di turisti provenienti da tutto il mondo, desiderosi di vedere fotografie dell’Ottocento (e del Novecento) conservate oggi nei depositi di Art Defender a Calenzano. Non si finisce mai di imparare.
 

Walter Guadagnini. © Andrea Guermani

Walter Guadagnini, 24 febbraio 2023 | © Riproduzione riservata

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