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Suhanya Raffel: «Un’istituzione senza pubblico è come una persona senz’anima»

La direttrice del museo M+ di Hong Kong dallo scorso gennaio è presidente del Cimam, Comitato Internazionale di Musei d’Arte Moderna

Roberta Bosco

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Nata in Sri Lanka e cresciuta in Australia, a Sydney, dove è arrivata con la diaspora del suo popolo, la storica dell’arte Suhanya Raffel ha vissuto dieci anni in Inghilterra per poi tornare in Australia, questo volta a Brisbane, dove per 19 anni ha lavorato nella Queensland Art Gallery (Qag), creando una delle più importanti collezioni di arte asiatica contemporanea del mondo.

Nel 2016 è entrata nel museo M+ di Hong Kong, per dar vita alla collezione e la struttura di un progetto straordinario che ha aperto le porte al pubblico in piena pandemia, a novembre 2021, e attualmente accoglie 3,6 milioni di visitatori all’anno (la sua pagina web raggiunge 70 milioni di utenti).
Lo scorso gennaio Raffel è stata nominata presidente del Cimam, organizzazione  fondata nel 1962 e affiliata all’Icom (International Council of Museums), la rete di oltre 35mila lavoratori di musei creata nel 1946.

Abbiamo incontrato la neopresidente  a Barcellona, di ritorno da Malaga, dove ha partecipato al Simposio sugli Ecosistemi Culturali nell’Età Digitale, con una conferenza su come adottare le nuove tecnologie per supportare la resilienza nel museo.

Quali sono i suoi principali obiettivi come presidente del Cimam e come definirebbe il suo contributo specifico?
Il Cimam è un’istituzione di grande importanza per i nostri musei. In questo mondo pieno di divisioni e conflitti i musei sono luoghi per riconnettersi, per riconoscere la nostra storia e ricordarne la diversità, per riflettere sul nostro passato immediato e il nostro futuro. Io incarno ciò che voglio per il Cimam: un organismo più inclusivo e diverso, capace di incoraggiare le istituzioni a pensare a una più ampia definizione del significato della storia, agli imprescindibili programmi di decolonizzazione e alle complesse interrelazioni tra le Nazioni e del loro impatto sulla vita delle persone. Il Cimam offre una favolosa piattaforma per portare l’espressione creativa nel mondo. Vorrei che la mia eredità fosse aumentare l’inclusione e rafforzare la connessione con l’Africa e l’area dell’Asia Pacifico e naturalmente con le comunità locali.

Non è la prima presidente asiatica…
Mi ha preceduta Mami Kataoka, vicedirettrice e curatore capo del Museo d’Arte Mori. In origine  il Cimam era un’istituzione fortemente eurocentrica, ma nei suoi 60 anni di vita è cambiato molto, con l'obiettivo di riflettere la poliedrica realtà contemporanea. Ci concentriamo su quello che succede e su come influisce sulla gente. Siamo più agili e dinamici, abbiamo ampliato il nostro raggio d’azione e anche i membri del comitato direttivo dimostrano la diversità, l’inclusione e la sempre maggiore presenza di donne.

In quanto a inclusione, diversità e sostenibilità nei musei d'arte moderna, può parlarmi del «Toolkit on Sustainability in the Museum Practice»?
È uno strumento pratico di grande utilità per i nostri associati. Vogliamo offrire un aiuto pratico sotto forma di metodi, strategie e strumenti che si possano adattare alle differenze di ogni istituzione, in relazione alla loro situazione geografica e sociale. Il museo deve rispondere alle esigenze specifiche della sua comunità e il Toolkit può essere tradotto, trasformato, rivisitato e adattato a ogni contesto. Credo che sia uno dei grandi successi del Cimam perché può essere utilizzato da qualsiasi museo, non solo d’arte. La sostenibilità è fondamentale in relazione al modo in cui pensiamo il nostro futuro, i musei hanno così tante opere che trattano questo tema che è evidente quale sia la sua importanza e il suo impatto in tutti gli aspetti della nostra vita. Credo che le soluzioni creative siano primordiali, perché offrono un’altra forma di risolvere i problemi. Un altro aspetto importantissimo è prestare attenzione alle voci e alle profonde conoscenze delle prime Nazioni indigene (First Nations), ascoltarli è imprescindibile.

Qual è la sua opinione sulla digitalizzazione in relazione ai musei d’arte? Crede che le nuove tecnologie potranno contribuire a rafforzarne la resilienza e la capacità di adattamento a un mondo in continua evoluzione?
La digitalizzazione sta trasformando il nostro mondo, con aspetti positivi e negativi. Positiva è la connessione tra la gente. La digitalizzazione delle collezioni è fondamentale per diffonderle, condividerle e farle conoscere anche a coloro che non possono vederle dal vivo. Negli anni ’60 Nam June Paik le definì autostrade dell’informazione, ma come lui non dobbiamo dimenticare il punto di vista sciamanico e magico che implicano. Nel congresso di Malaga abbiamo parlato di metaverso, intelligenza artificiale, realtà virtuale e aumentata, ma vorrei sottolineare che non abbiamo dimenticato l’intelligenza biologica. La nostra intelligenza è intrinseca all’intelligenza artificiale.

Non vedo mai artisti coinvolti nelle iniziative del Cimam. Intende rafforzare il rapporto con gli artisti contemporanei?
Il Cimam si occupa degli artisti, ma è un organismo creato per i lavoratori dei musei, per trattare temi che riguardano tutti gli aspetti dell’istituzione. Stiamo includendo gli artisti nelle nostre riunioni perché hanno un atteggiamento provocatore che ci sfida a evolvere, la voce degli artisti è sempre presente, ma il Cimam è un’organizzazione professionale. Dobbiamo pensare al museo come uno spazio di cocreazione.

Quali misure adotterà per promuovere l’accesso e la partecipazione del pubblico ai musei d’arte moderna e contemporanea, sia a livello locale che globale, sia virtualmente che in presenza?
Il Cimam è cresciuto molto e contemporaneamente il pubblico sta aumentando come non mai. Un’istituzione senza pubblico è come una persona senza anima. I pubblici sono molto diversi, vanno dagli esperti d’arte fino ai bambini. Non dobbiamo dimenticare che esistono ancora molti luoghi al mondo dove la tecnologia non è a disposizione di tutti, quindi dobbiamo puntare su soluzioni più creative e immaginative. Credo che l’ansia di condividere ogni istante della nostra vita rifletta in parte il bisogno di sentirci connessi, di far parte di una comunità più ampia del nostro ambiente abituale. Il cambiamento è vita, la sfida è abbracciare questo cambiamento.

Secondo lei qual è il ruolo del museo nella società attuale?
Il museo ha diversi ruoli sia a livello immediato che in termini di ricerca, collaborazione, condivisione delle conoscenze, capacità di sviluppo, formazione, ma è anche un luogo di svago, osservazione, apprendimento, vendita e ristorazione. Il museo offre diverse esperienze, è un luogo in cui rallentare e guardare, in cui riflettere, imparare e divertirsi. Abbiamo una responsabilità importante perché è evidente che la gente non crede ai politici non crede ai media ma crede nei musei.

Suhanya Raffel

Roberta Bosco, 17 luglio 2023 | © Riproduzione riservata

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