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Giovanna Pittalis
Leggi i suoi articoliTre modi diversi di leggere il presente arrivano al Man di Nuoro con Mazzucchelli, Pinna e Casali. Il 5 dicembre il MAN ha aperto la stagione invernale con tre mostre dense di linguaggi, memorie e riflessioni sulla collettività e sul territorio (fino all’1 marzo 2026).
La prima è la personale di Franco Mazzucchelli (Milano, 1939) intitolata «Blow Up» e curata da Marina Pugliese, frutto di un protocollo di intesa con il Mudec di Milano. L’esposizione ripercorre la ricerca dell’artista milanese dagli anni Sessanta a oggi, attraverso una selezione di opere e fotografie che documentano il carattere sperimentale, sociale e partecipativo del suo lavoro. Il tutto si inserisce in una linea di ricerca che il Man, diretto da Chiara Gatti, sta sviluppando sugli artisti che lavorano sui temi della sostenibilità e della collettività, realizzando opere che nel tempo hanno attivato la comunità tramite pratiche partecipative. La mostra di Mazzucchelli, dunque, restituisce per tappe la sua azione artistica dipanata nello spazio, il suo abitare i luoghi pubblici, connotandoli, qualificandoli, invitando i cittadini stessi a riappropriarsi di aree dimenticate. Emerge una scelta di lavori connessi agli «Abbandoni» dei primi anni Sessanta e ai progetti successivi «A. TO A.(Art to Abandon / Arte da abbandonare)», tra cui gli interventi realizzati davanti all’Alfa Romeo di via Traiano a Milano (1971), nel piazzale del Liceo artistico di Torino (1971) o nella Piazza dei Priori di Volterra (1973). «Blow Up», citazione della celebre pellicola di Antonioni, racconta per capitoli la storia di un artista che ha saputo ridefinire i linguaggi della scultura contemporanea, portando l’arte fuori dei musei e dentro la vita quotidiana, in una continua esplorazione delle relazioni tra estetica, società e partecipazione.
Alfredo Casali, «Forse le nuvole», 2024
Il museo dedica inoltre uno spazio alla Sardegna arcaica e ai colori di Franco Pinna (1925-78), con la mostra «Franco Pinna. Sardegna a colori. Fotografie recuperate 1953-67», ideata e realizzata sotto la direzione scientifica dell’Archivio Franco Pinna. Qui, il museo della Provincia di Nuoro, prosegue la riflessione sul linguaggio fotografico e il rapporto con la Sardegna, un territorio di ispirazione e sperimentazione per generazioni di artisti. Franco Pinna, conosciuto per gli scatti in bianco e nero, rivive sotto l’ottica del colore. La mostra celebra il centenario della nascita del fotografo maddalenino nato nel 1925, maestro della fotografia italiana del Novecento. Lo fa riportando alla luce un corpus a lungo dimenticato, restituendo una dimensione nuova del suo sguardo: quella del colore. Il percorso presenta circa ottanta opere, tra stampe in larga parte quasi mai esposte e materiali d’archivio. Le immagini scelte, frutto di un lungo lavoro di recupero e restauro digitale delle cromie originali, sono accompagnate da fotografie di raffronto dello stesso soggetto in bianco e nero, oltre a diapositive, strumenti di lavoro provenienti dall’Archivio che porta il suo nome. L’esposizione prende avvio da «Orgosolo 1953» (prima campagna fotografica a colori realizzata da Pinna in Sardegna) per poi attraversare le tappe più significative della sua produzione isolana: «Canne al vento» (1958), «Argia a Tonara» (1960), immagini per il celebre volume Sardegna. Una civiltà di pietra (1961), fino alle cronache sul banditismo e le proteste dei pastori del 1967, dove la realtà diventa rivelazione.
Infine, la mostra di Alfredo Casali «Insolitudine» a cura di Massimo Ferrari e Chiara Gatti, si inserisce in un anno dedicato a un’ampia e articolata riflessione sul concetto di isola, intesa non solo nella sua dimensione geografica, ma come generatrice di narrazioni, cosmologie e utopie. Dopo le mostre «Isole Minori. Note sul fotografico dal 1990 ad oggi» e «Isole e Idoli», la nuova esposizione enfatizza il concetto di insularità attraverso visioni differenti: il senso e i perimetri dell'isola. Alfredo Casali (Piacenza, 1955) presenta al Man un nucleo di opere inedite e recenti che affondano le radici nel tema del confine poroso, dell’origine arcaica, del distacco volontario, della riemersione dalle secche delle dimenticanza. Il neologismo isolitudine si adagia nella sua pittura come condizione complessa, esistenziale, che vede l’isola non come «coordinata» geografica, ma come un sentimento melanconico di isolamento. La sua poetica rarefatta ed essenziale oggi approda alle soglie dell’isola al centro del Mediterraneo; che si presenta come un disegno dai bordi slabbrati sulle mappe della coscienza, una epifania di roccia e sabbia sul piano cartesiano della geografia umana e cosmica.
Franco Mazzucchelli, «Abbandono», 1970