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Shirin Neshat è nata a Qazvin, in Iran, il 26 marzo 1957

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Shirin Neshat è nata a Qazvin, in Iran, il 26 marzo 1957

Shirin Neshat: Riccardo Muti mi vuole per l'Aida

L'artista iraniana, in Puglia per una performance, parla dei suoi progetti futuri, della condizione delle artiste donne, di cinema e di musica

Graziella Melania Geraci

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Martina Franca (Taranto). Incontrare Shirin Neshat in un trullo nella campagna di Martina Franca non è da tutti i giorni. L’artista iraniana, a Bari per un’inedita performance live, «Passage through the world» (viaggio nella musica di Mohsen Namjoo con una scenografia realizzata da Shirin Neshat e dal filmaker Shoja Aza) si è fermata, tra amici iraniani e non, in quello che sta diventando un punto di incontro fisso per artisti e intellettuali: il trullo di Manoocher Deghati (fotoreporter internazionale) e Ursula Janssen (archeologa specializzata in medio Oriente).
Tra fotografi internazionali ed editori del National Geographic, scrittori esuli iraniani e project manager del World Press Photo, ospiti fissi del trullo, Shirin Neshat si concede, con sguardo dolce e parole intense, a una chiaccherata sull’arte e sui suoi progetti futuri.

Quali sono le attuali condizioni delle artiste donne rispetto ai colleghi maschi?
Non c’è dubbio, c’è una supremazia maschile nel mondo dell’arte occidentale. Gli artisti uomini sono più costosi, hanno più successo, sono più popolari e più richiesti dal mercato; le donne artiste invece sembrano subire un ruolo di inferiorità soprattutto economica. Questa divisione di genere attraversa tutti gli strati della società ma qualcosa sta cambiando, ne parlavo con Cindy Sherman che mi diceva che prima di diventare artista frequentava un gruppo di amici, ebbene gli artisti uomini hanno raggiunto subito il successo mentre per lei c’è voluto molto tempo. La sua carriera è stata una lenta ascesa ma ora che lei è tra le artiste più importanti sono gli altri a essere in declino.
Gli esordi della sua carriera sono stati caratterizzati dall’uso della fotografia, poi è arrivato il cinema che sembra essere ora il suo mezzo preferito.
Non ho mai studiato fotografia o come si realizza un film o un video, quello che mi interessa è la sperimentazione, sono propensa come artista a fare cose nuove, mi annoiano le ripetizioni. Dopo la serie «Women of Allah» ci si riferiva a me come all’artista che scriveva sulle foto, ma io non amo le categorie, non volevo essere «quell’artista che fa solo quel tipo di opera».
La stessa cosa però è accaduta quando ho iniziato a fare video come «Turbulent» così ho cambiato e ho fatto dei film. Mi piace evolvere e cercare nuove possibilità artistiche.
Questo significa che cambierà di nuovo?
Certamente, ora sto lavorando a qualcosa di molto stimolante. Riccardo Muti mi ha contattata per la regia dell’Aida (nel 2017, al Festival di Salisburgo, Ndr). La proposta mi ha spaventata ma contemporaneamente mi ha eccitata: è qualcosa di nuovo per me ed è un rischio. Alcuni artisti tendono a ripetersi forse proprio perché trovano una sicurezza nella reiterazione. Io trovo più interessante fare qualcosa la cui riuscita non è certa, di cui non sei sicuro. Fino a qualche giorno fa ero spaventata, l’Aida non assomiglia a niente di quello che ho fatto fino ad ora, è qualcosa che non ho mai affrontato. Tutto può andare male, può essere un fallimento, è come essere sul filo del rasoio ed è per questo che mi piace.
Lei sta lavorando a un film sulla vita di Umm Kulthum, una donna e un’icona per il Medio Oriente.
La figura femminile è centrale nei miei lavori e guardando le altre donne artiste rifletto su me stessa, come in «Women without men», film basato su un romanzo di una donna iraniana, Sharhnush Parsipur.
Umm Kulthum è un fenomeno: è morta nel 1975, ma ancora oggi è la cantante più popolare nel Medio Oriente, è amata in Egitto, in Israele, in Algeria, in Marocco e in altri Stati. La sua notorietà si deve al potere della musica ma anche e soprattutto al fatto di essere una donna non convenzionale. La cantante egiziana è notevolmente interessante, è una donna ma non una donna tradizionale: non ebbe mai figli, probabilmente era gay, era circondata da uomini, viveva in una società maschilista, era nazionalista, tutti spunti interessanti.
Umm Kulthum è l’esempio di un’artista mediorientale donna che per raggiungere il successo deve essere a suo modo progressista. Sotto alcuni aspetti anche io non sono una donna iraniana tradizionale: lavoro con molti uomini, il mio lavoro parla delle donne e vivo situazioni inusuali.
Raccontare la sua storia è rilevante politicamente in questo momento di conflitti per parlare alla cultura occidentale della complessità del mondo arabo e delle donne. Questo film per me ha innumerevoli propositi da raggiungere.
Ha altri progetti nel prossimo futuro?
Stiamo finendo di girare due video che vorrei esporre per la mia prossima mostra. Fanno parte di una trilogia, tre cortometraggi che parlano dei sogni; lo stile sarà concettuale, come per gli altri video «Turbulent» o «Rapture», sarà in bianco e nero e con una donna come protagonista.
Il video che ho realizzato con Natalie Portman era di 3 minuti ora è diventato lungo 10 minuti e farà parte della trilogia che chiamerò «Dreamers». Vorrei presentare questo lavoro  nella galleria Gladstone di New York  spero prima della fine dell’anno.
Dunque un film su Umm Kulthum, una trilogia e l’Aida. Penso che siano sufficienti per il momento, poi si vedrà per altro.

Shirin Neshat è nata a Qazvin, in Iran, il 26 marzo 1957

Graziella Melania Geraci, 14 ottobre 2015 | © Riproduzione riservata

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