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Ilio Mannucci Pacini
Leggi i suoi articoliCon la sentenza n. 2433 del 3.3.2025 il giudice del Tribunale di Milano si è pronunciato sulla condotta tenuta dagli attivisti di Ultima Generazione che il 15 gennaio 2023 versarono vernice gialla lavabile sul basamento dell’opera «L.O.V.E.» (acronimo di Libertà, Odio, Vendetta, Eternità, Ndr) conosciuta come «Il Dito», posizionata al centro di Piazza Affari.
Il rilievo di questa sentenza sotto il profilo artistico-giuridico concerne la valutazione dell’opera d’arte compiuta nel processo dallo stesso artista, Maurizio Cattelan, e dallo storico dell’arte Tomaso Montanari, consulente tecnico della difesa degli imputati. I fatti sono noti e altrettanto nota è la motivazione di quel gesto, come accertata nel processo: «Richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica in maniera efficace sul problema delle conseguenze della crisi climatica sull’intera popolazione».
La vernice, diluita al 50% con acqua, era stata lanciata solo sul basamento dell’opera con l’intenzione non di danneggiare la scultura, ma di «creare un punto di rottura e riuscire ad aprire il dialogo sulle tematiche legate all’emergenza climatica».
Che la vernice fu lanciata solo sul basamento è stato accertato nel dibattimento e confermato dallo stesso Cattelan, che ha valutato positivamente l’azione rivolta «contro» la sua opera, dichiarandosi certo del fatto che gli attivisti avessero agito senza fini aggressivi nei confronti suoi e della sua scultura, che d’altro canto non era stata deturpata: l’intervento di ripristino l’aveva infatti restituita al suo stato originario.
Le considerazioni più interessanti sono quelle rese al giudice da Montanari, che ha escluso che il danneggiamento avesse riguardato l’opera, sia perché la vernice gialla ha raggiunto il piedistallo, che non fa parte dell’opera («è come la cornice di un quadro, che non ne fa parte, potendo in qualunque momento essere sostituita»), sia perché la vernice è stata agevolmente rimossa con un costo dell’intervento inferiore a 500 euro.
Montanari ha inoltre escluso che l’opera avesse subìto alcun danno soggettivo, considerato che questo tipo di opere nascono per essere interattive, «ossia, come si dice nella storia dell’arte, si tratta di opere transitive, cioè opere che portano il loro effetto, la loro azione, sul pubblico a patto che il pubblico non sia passivo». Secondo lo storico dell’arte, «L.O.V.E.» «non può dirsi lesa da azioni di protesta o provocatorie, anche perché è lei stessa incardinata nel genere della provocazione». A suo parere appartiene proprio alla categoria di opere transitive «che sviluppano pienamente il loro significato solo attraverso un’azione (sensoriale, psicologica e culturale) sugli spettatori. Sono opere d’arte nate per interagire con coloro che le vedranno, nei secoli. Nel caso della scultura in oggetto questo è vero costitutivamente, perché fu donata alla città dall’artista a condizione che rimanesse di fronte alla sede della Borsa, dove esprime al meglio il suo significato critico (evidente nel dito medio) contro il nostro intero sistema finanzial-capitalista. […] “L.O.V.E.” non è arredo urbano: è un grido di protesta. Una consolidata tradizione milanese ha accolto e sviluppato questo significato della statua: il 23 febbraio 2013 gli attivisti di Greenpeace coprirono l’opera con un guanto verde per sensibilizzare il sistema della moda sui temi ambientali. E, del resto, nessuno si è indignato quando nel 2019 l’opera è stata coperta parzialmente da una maschera di Salvador Dalí nell’ambito del lancio di una nota serie tv, “La casa di carta”. Una serie che inneggia a una banda di rapinatori: cosa che non ha minimamente turbato il Comune di Milano. Con ogni evidenza, i fatti del 15 gennaio 2023 si iscrivono in questa ormai consolidata tradizione di ricezione attiva, che appare la modalità di fruizione elettiva di questa scultura. Non solo, dunque, l’azione di Ultima Generazione non ha compromesso alcunché, ma rientra essa stessa nella dimensione e nella tradizione delle performance artistiche che, sempre più spesso gli stessi musei d’arte antica organizzano per ricostruire il nesso tra patrimonio culturale e pubblico».
La critica d’arte che entra nel processo penale non è novità di questi anni. I tragici fatti del 1993, quando la violenza mafiosa colpì, nella sua furia stragista, i luoghi d’arte del nostro Paese, ne sono l’esempio più cruento e tragico, con le vittime, oltre che le opere d’arte, utilizzate per tentare di intimidire gli apparati statali impegnati nel contrasto alla criminalità mafiosa. Le azioni di protesta dei gruppi che rivendicano l’indifferibilità dell’intervento delle istituzioni nel contrasto all’emergenza climatica rappresentano l’esatto contrario rispetto ai fatti di trent’anni prima: nessuna «offesa» alle opere d’arte, nessuna violenza o intimidazione, ma esclusivamente l’utilizzo di un gesto di provocazione per sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni a una «giusta causa».
Il giudice ha accolto una delle prospettazioni introdotte dal consulente della difesa, ritenendo, per utilizzare un’espressione di Montanari, che «la cornice non è l’opera d’arte», escludendo la natura artistica del basamento e prosciogliendo gli imputati per mancanza di querela in ordine al meno grave reato di imbrattamento di un bene mobile.
Le ulteriori considerazioni di Montanari non sono state poste a fondamento della decisione assolutoria, ma è indubbio che la natura «transitiva» dell’opera d’arte sia stata un significativo elemento di valutazione della carenza intrinseca di qualsiasi offesa nel gesto realizzato. La provocazione nei confronti di un’opera d’arte «costitutivamente» esposta per interagire con il pubblico esclude che quell’imbrattamento (oggettivamente sussistente) possa configurare la condotta prevista dall’art. 518 duodecies, comma 2° c.p. - imbrattamento di bene culturale, sotto il profilo oggettivo e soggettivo.

«Il Dito» di Maurizio Cattelan a Milano imbrattato dagli attivisti nel 2023