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Olga Scotto di Vettimo
Leggi i suoi articoli«Quello del “San Ludovico da Tolosa” di Simone Martini può definirsi senza dubbio un restauro epocale, sia per l’importanza dell’opera, il cui splendore affascina da sempre visitatori di Capodimonte, che per il suo significato nella storia della città, in particolare quella della fiorente Napoli angioina con la sua corte di mecenati nel cuore del Mediterraneo», dichiara Eike Schmidt, direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte, annunciando l’avvio degli interventi di restauro che per i prossimi sei mesi interesseranno la grande e preziosa pala angioina, raffigurante il santo che incorna re Roberto d’Angiò, il quale nel 1317 commissionò l’opera al maestro senese per legittimare la sua ascesa al trono di Napoli. L’opera, di cui non è certa la collocazione originaria (San Lorenzo Maggiore di Napoli, dove era tra la fine del Cinque e inizio del Seicento; oppure la Chiesa di Santa Chiara o il Duomo), arrivò al Museo di Capodimonte nel 1957, trasferita dal Museo Nazionale (Mann) dove era giunta nel 1921.
Il restauro, realizzato 65 anni dopo il precedente, è il primo progetto che il museo napoletano compie a seguito di una collaborazione quadro firmata con l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, che consentirà anche il restauro di altre opere, tra cui dipinti di Tiziano, Mantegna, Dosso Dossi, Polidoro da Caravaggio, Vivarini. L’intervento di manutenzione straordinaria verrà seguito per il Museo e Real Bosco di Capodimonte dalla curatrice dei Dipinti e delle Sculture del XIII, XIV e XV secolo Alessandra Rullo e dai restauratori Alessia Zaccaria, Sara Vitulli e Loris Panzavecchia; per l’Ood dal soprintendente Emanuele Daffra, dal direttore del settore restauro Dipinti su tela e tavola Sandra Rossi e dai restauratori Luciano Ricciardi, con Ciro Castelli e Andrea Santacesaria. Il lavoro interesserà la struttura lignea, la chiusura delle sconnessioni e delle fessurazioni presenti sul supporto, l’eventuale ricostruzione di piccole mancanze sulla predella, il fissaggio della decorazione a gigli sul verso, prevedendo inoltre il fissaggio e il consolidamento della superficie policroma sul recto in corrispondenza della commettitura delle tavole.
«Con emozione ricordiamo che nel 1966 fu Raffaello Causa a spostare l’ultima volta la grande pala dal muro per porla nella posizione attuale con un sostegno in ferro che la stacca lievemente dalla parete», aggiunge il direttore Schmidt. E sempre nello stesso ambiente al secondo piano del museo rimarrà anche nei prossimi mesi, grazie al cantiere didattico che consentirà all’opera di non lasciare la sala.
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