«Dal libro di Ulisse» (1949) di Corrado Cagli. Cortesia dell’Archivio Corrado Cagli

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«Dal libro di Ulisse» (1949) di Corrado Cagli. Cortesia dell’Archivio Corrado Cagli

Per Cagli l’astrattismo si fa per ragioni etiche

Dopo l’esilio americano, in Italia torna un artista diverso. Nella galleria di Alberto Di Castro sono esposte le opere realizzate tra il 1947 e il 1959. Intervista a Ester Coen, autrice del saggio in catalogo

Alberto e Denise Di Castro (quest’ultima costituisce la quinta generazione della celebre famiglia antiquaria) stringono un’alleanza temporanea con il collezionista Yuri Tagliacozzo e con Gian Enzo Sperone, storico gallerista nel campo dell’avanguardia internazionale, che, da raffinato collezionista qual è, da tempo compie meditate incursioni nell’arte italiana tra gli anni Trenta e Cinquanta del ’900. Da questa intesa nasce una mostra dedicata, fino al 5 maggio, a Corrado Cagli con una trentina di opere eseguite dall’artista tra il 1947 e il 1959, introdotte da un saggio di Ester Coen in catalogo (Silvana) e con la collaborazione scientifica dell’Archivio Cagli (Roma).

Artista dotato di intelligenza esuberante e di talento versatile, Cagli (1910-76) ha saputo tracciare vaste rotte intellettuali. Di origini ebraiche, negli anni Trenta appartiene al fronte più avanzato dell’arte italiana («Cagli svegliò i morti in questi anni», ricorderà Guttuso). Dà prova di una naturale inclinazione alla pittura su scala architettonica, mentre interviene nell’acceso dibattito sulla pittura murale, che coinvolge arte e architettura. Nel 1938, l’anno delle leggi razziali istituite dal regime fascista, si rifugia a Parigi e poi negli Stati Uniti, dove per l’artista si apre una fase difficile, inquieta, ma dove il bisogno di esplorazione lo apre a conoscenze e a esperienze cruciali spostando la sua attenzione sul versante teatrale.

Con l’esercito americano combatte in Europa. In Germania, entrato nel campo di concentramento di Buchenwald, esegue un ciclo di disegni che documentano la deportazione. Intorno al 1948 torna definitivamente in Italia. Nella galleria dei Di Castro è mostrata la produzione più iconica di Cagli, come spiega Yuri Tagliacozzo: «La mostra si apre con opere realizzate intorno al 1948, tra cui la “Ruota della Fortuna” e il “Bagatto come Arlecchino”, che indagano il mondo del profondo e si legano a uno studio condotto da André Breton sulle immagini esoteriche dei Tarocchi. All’anno seguente appartiene invece una scelta di opere che sperimenta la quarta dimensione, come “L’Angoscia” e “Diogene”, nelle quali un segno, spesso ininterrotto, libera una carica gestuale».

Nello scandaglio dell’inconscio collettivo, che risveglia le immagini degli archetipi, nascono i cicli delle «Impronte dirette» e delle «Impronte indirette», documentati da uno dei suoi capolavori «Ça ira» (1951). Infine sono esposti esempi dalla straordinaria serie «Carte mute» (1958-59). Abbiamo intervistato Ester Coen, che in passato ha promosso e seguito il restauro della pittura murale la «Corsa dei Barberi» (1935), oggi sede dell’Accademia nazionale di danza a Roma, il cui edificio era stato destinato all’Opera Nazionale Balilla.

Perché la mostra si focalizza su poco più di un decennio dell’indagine «astratta» di Cagli?
È un momento meno conosciuto ma di estrema rilevanza nel suo percorso artistico, dove converge e si sviluppa il resto della sua ricerca. La drammatica rottura storica delle leggi razziali che lo vedono dolorosamente vivere in prima persona la tragedia di quel momento è talmente violenta da indurlo a meditare sul senso dell’esistenza e a ripercorrere le vicende dei suoi anni di partecipazione alla politica culturale fascista.

È un percorso interiore angoscioso che lo porta a cercare nuove strade per comprendere, anche attraverso un pensiero immaginativo, la struttura complessa del mondo nella sua unità. Una risposta che troverà, nel forzato esilio americano, con lo studio della musica e della fisica, ispirato anche dai modelli matematici dei solidi non euclidei dell’amico matematico Paul Samuel Donchian. E dal continuo confronto con uno dei pionieri della geometria algebrica astratta, Oscar Zariski, marito della sorella Iole.

Cagli è considerato uno degli artisti più interessanti negli anni Trenta in Italia. Ci sono caratteristiche della sua pittura che rimangono peculiari anche nella fase che si apre dal dopoguerra?
Penso che l’intera parabola creativa di Cagli possa essere letta lungo tre periodi dove individuare, pur nelle diversità stilistiche, una continuità di poetica e di visione. Nella pittura murale degli anni Trenta emerge una figurazione improntata a una narrativa epica e mitologica che durante l’esilio si fa più cupa, oscura, e lo spinge a un tormentato ripensamento in cui si allontana dalla pittura, concentrandosi sul disegno e addentrandosi nel mondo della musica, del teatro e della danza.

Con il ritorno in Italia, Cagli sperimenta con grande determinazione percorsi nuovi intorno all’astrazione, dove torna ad affiorare un tono epico, originato da una coscienza diversa, più inquieta ma ormai consapevole. L’impegno etico e il rigore artistico lo portano a sperimentare tecniche diversissime e d’avanguardia, come si vede nella mostra, alla ricerca di una «coscienza primordiale» i cui archetipi da sempre costituiscono i cardini e i principi del creare.

Durante l’esilio che cosa ha significato per Cagli il rapporto con i surrealisti?
Nel 1940, a Marsiglia, in attesa di imbarcarsi per l’America, André Breton, Max Ernst, André Masson, Wifredo Lam e Victor Brauner, nel proiettarsi verso il loro futuro di esiliati, sconfinano in altri orizzonti dell’azzardo e delle probabilità. Da qui l’idea di reinventare i Tarocchi, di far aprire i segni tradizionali ai territori del sogno, della conoscenza e della rivoluzione. A New York Breton coinvolge in quella ricerca anche Cagli, dopo la sua personale alla Julien Levy Gallery. Un’esperienza che permette all’artista di intessere razionale e irrazionale nella trama della sua pittura, di percorrere tradizioni esoteriche e investigare i sentieri enigmatici e inafferrabili dell’occulto.

Non è stato facile per Cagli rapportarsi con le nuove ricerche «astratte» italiane all’epoca.
Sono anni in cui il dibattito artistico è acceso e a tratti molto polemico all’interno di gruppi contrapposti e ideologizzati. Cagli prende generosamente posizione sul terreno di difesa dei nuovi valori, diversi da quelli degli artisti di «Forma 1», sostenendo la «funzione sociale» di una visione sublimata e astratta. Penso in particolare a un’architettura compositiva dove la sperimentazione diventa gesto laico per rileggere e rilanciare il senso originario del fare arte come esperienza individuale e collettiva. È la difesa di un’arte astratta in risposta alla crisi morale dei tempi, la difesa di un linguaggio che, pur affondando le radici nel mito, guarda verso il futuro.
 

«Dal libro di Ulisse» (1949) di Corrado Cagli. Cortesia dell’Archivio Corrado Cagli

Corrado Cagli nello studio di Villa del Fauno, a Taormina, nel 1968. Cortesia dell’Archivio Corrado Cagli

Francesca Romana Morelli, 30 marzo 2023 | © Riproduzione riservata

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