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La prima personale italiana dell'artista cilena arriva dal 27 settembre al 20 dicembre da Fondazione Made in Cloister, con la curatela di «nonlineare – iniziativa curatoriale indipendente»
- Riccardo Deni
- 24 settembre 2025
- 00’minuti di lettura


Patricia Domínguez, «The Ballad of the Dry Mermaids», 2020
Patricia Domínguez: il sacro e il cibernetico, a Napoli
La prima personale italiana dell'artista cilena arriva dal 27 settembre al 20 dicembre da Fondazione Made in Cloister, con la curatela di «nonlineare – iniziativa curatoriale indipendente»
- Riccardo Deni
- 24 settembre 2025
- 00’minuti di lettura
Riccardo Deni
Leggi i suoi articoliUn cavallo bianco, gravido, attraversa i confini del reale, dell’invisibile e del digitale. È questo l’animale-totem evocato da Patricia Domínguez nella sua prima personale italiana, ospitata dalla Fondazione Made in Cloister e curata da nonlineare, iniziativa indipendente fondata da Teresa Iarocci Mavica. Il titolo della mostra - Il cavallo bianco, gravido - è già una promessa di dislocazione e trasformazione. Un’immagine quasi impossibile, potente nella sua assurdità. Proprio come le opere che l’artista cilena porta a Napoli. Sei video-installazioni che si configurano come veri e propri altari cibernetici, ospitati in altrettanti santuari dedicati agli elementi fondamentali della vita: Acqua, Terra, Animali, Piante, Invisibile.
Più che una semplice esposizione, si avvicina a un rito contemporaneo. Domínguez, che vive e lavora a Puchuncaví, in Cile, intreccia nelle sue opere etnobotanica, spiritualità, iconografie ancestrali e tecnologia, rifiutando la dicotomia tra natura e artificio. Nei suoi lavori, lo schermo non è più superficie fredda, ma portale sensoriale. Se il digitale svuota la materia, l’artista compie il gesto inverso, riconnettendo i pixel alla memoria del corpo, della terra, degli spiriti. Lavorando in dialogo con gli artigiani napoletani, Domínguez costruisce un compendio di rituali futuri, dove specie diverse si incontrano, si alleano, resistono.
La mostra va a chiudere il primo anno di RINASCITA, programma biennale della Fondazione che riflette sulla trasformazione e la resistenza delle specie in tempi di crisi globale. L’impegno curatoriale di nonlineare si inserisce perfettamente in questa visione, promuovendo un’arte che non è decorazione ma atto politico e rigenerativo. Domínguez, che ha già esposto in istituzioni come il MoMA, il Gropius Bau e il New Museum, arriva ora a Napoli per trasformare un ex chiostro in luogo sacro e visionario, dove il contemporaneo dialoga con il primordiale. Dove la ferita del mondo può diventare terreno di guarigione.