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Un esemplare di «Serpents» (1988) di Jeff Koons. Cortesia di Christie’s

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Un esemplare di «Serpents» (1988) di Jeff Koons. Cortesia di Christie’s

Neppure Koons può far finta di non essere il papà

Nessun artista può decidere liberamente di disconoscere un’opera, seppure da lui realizzata, perché devono essere salvaguardati i diritti di eventuali collezionisti che l’hanno comprata

Gilberto Cavagna di Gualdana, Sofia Kaufmann

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La Corte d’Appello di Milano si è espressa chiaramente sul tema e lo scorso ottobre (sentenza del 14 ottobre 2021), confermando la decisione del Tribunale, ha ribadito che il disconoscimento di un’opera non può essere lasciato al libero arbitrio dell’artista.

L’opera a monte della discordia è una scultura della serie «Banality» di Jeff Koons, «Serpents», la numero 2/3. Le prime vicissitudini circa la sua autenticità risalgono al 1997, quando per la prima volta l’attuale proprietario tentò di vendere l’opera a New York tramite Christie’s.

L’artista blocco l’asta e, affermando si trattasse di un falso, si rivolse alla Southern District Court di New York (che tuttavia ne respinse le pretese e ordinò la restituzione dell’opera al collezionista); ciononostante Koons continuò negli anni a negarne l’autenticità facendo così desistere eventuali acquirenti.

Negli anni però la versione sulla natura di «Serpents 2/3» cambiò; e quando un gallerista milanese, prima di acquistare l’opera, si rivolse all’artista per il rilascio dell’autentica, il certificato venne negato, ma con una nuova scusa: la scultura in questione era un prototipo insoddisfacente che avrebbe dovuto essere distrutto.

Così «Serpents 2/3» diventa da opera contraffatta un esemplare non autorizzato dell’artista e quindi, secondo la tesi difensiva presentata dello stesso in giudizio, un esemplare non autentico. Ora, se sia possibile per un artista non riconoscere un’opera, seppur da lui realizzata, è uno dei temi su cui si è espressa la Corte milanese, che non accordando all’artista una libertà di disconoscimento assoluta, si è pronunciata di fatto, in via pregiudiziale, sull’autenticità dell’opera in questione.

Il ragionamento dei giudici è stato il seguente: la legge sul diritto d’autore riconosce all’artista determinati diritti sulle opere immesse in circolazione, ma tali diritti non possono essere esercitati senza limiti e devono essere bilanciati con gli eventuali diritti di terzi.

Più nello specifico, il diritto di rivendicare la paternità dell’opera (e quindi il correlato diritto a non esserne riconosciuto l’autore) e quello di opporsi a eventuali interventi o modifiche lesive dell’onore o della reputazione dell’artista possono essere esercitati fintanto che tali modificazioni non siano state conosciute e accettate dall’artista stesso e l’opera non sia uscita dalla sua «sfera di controllo».

Così come il diritto a ritirare un’opera dal commercio può essere esercitato dall’autore solo qualora concorrano gravi ragioni morali. Il diritto dell’autore è dunque protetto solo in presenza di concreti pregiudizi alla reputazione e all’immagine che scongiurino una caratterizzazione soggettivistica della fattispecie, diversamente si rischierebbe di legittimare disconoscimenti arbitrari o emulativi.

Infatti, il diritto al disconoscimento, anche nella sua accezione più ampia, non può assolutamente prescindere dall’esistenza di ragioni obiettive che salvaguardino, qualora sia già intervenuta la circolazione dell’opera, i diritti acquisiti dai terzi e, più in generale, la certezza dei rapporti giuridici.

Nel caso di specie i giudici, interrogatisi se fossero riscontrabili requisiti oggettivabili per disconoscere l’opera come propria e/o richiederne il ritiro dal commercio e la distruzione, dopo aver puntualmente ricostruito la storia di «Serpents 2/3», hanno accertato come tale opera fosse «uno degli esemplari in cui tale scultura era stata edita e comunque un autorizzato e autentico “artwork” del signor Jeffrey Koons di New York dal medesimo firmato e approvato».

Non vi erano infatti dubbi che la scultura fosse stata realizzata su indicazioni dell’artista e che fosse stata firmata e approvata dallo stesso, senza che questi eccepisse difetti o errori tali da lasciar intendere una qualche insoddisfazione da parte sua (solito distruggere immediatamente gli esemplari ritenuti inadeguati), che anzi ne ha ordinato la spedizione a una galleria e l’esposizione in mostra, accettandone dunque l’immissione in commercio e la pubblicazione.

I giudici non hanno dunque riscontrato motivi tali da far presumere che la circolazione dell’opera potesse creare un pregiudizio all’onore dell’autore né che vi fossero gravi ragioni morali che ne giustificassero il ritiro dal commercio.

Sebbene Jeff Koons sia avvezzo a frequentare le aule di tribunale, tale pronuncia sposta l’attenzione degli operatori del settore su una questione spinosa: la libertà di un artista, e forse in futuro delle stesse fondazioni, di riconoscere e disconoscere un’opera. E ora che l’autenticità di «Serpents 2/3» è stata messa nero su bianco, vedremo se e come il mercato accoglierà tale notizia.

I due autori sono entrambi avvocati
 

Un esemplare di «Serpents» (1988) di Jeff Koons. Cortesia di Christie’s

Gilberto Cavagna di Gualdana, Sofia Kaufmann, 04 febbraio 2022 | © Riproduzione riservata

Neppure Koons può far finta di non essere il papà | Gilberto Cavagna di Gualdana, Sofia Kaufmann

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