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«Foro romano», di Pierluigi Isola

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«Foro romano», di Pierluigi Isola

Nelle opere di Isola la luce è d’oro

Ottanta opere del pittore romano nel Panorama Museum in Germania

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Franco Fanelli

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Si dice che in pittura ogni secolo abbia la sua luce. Ma esiste una pittura senza tempo, quella praticata da artisti per i quali la storia dell’arte riprende vita nel momento in cui la si coniuga con un presente vissuto nella coscienza che se tutto è già stato fatto, non tutto è stato detto. Pierluigi Isola (Roma, 1958) lo dimostra attenendosi a un principio che non ha perso di attualità: se la lettura, per uno scrittore, è l’atto primario, per un pittore lo è l’osservazione.

Lo sguardo di un artista del XXI secolo può essere simile a quello di un suo antico collega, magari un francese o un inglese del XVIII o XIX secolo incantato dalla luce dorata di Roma o della Tuscia, ma insieme ne differisce, forte di una cultura visiva e pittorica acquisita proprio in virtù del tempo che lo separa da quelle epoche d’oro della veduta e del paesaggio. Isola non ha il fardello stilistico del citazionista; ma come Meaume, l’incisore protagonista dello splendido romanzo Terrasse à Rome di Pascal Quignard, è inconfondibilmente Meaume pur contenendo in sé diverse anime della «gravure» cinque e seicentesca, così Isola ha una sua irriducibile identità espressiva.
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Gli 80 dipinti esposti nel Panorama Museum di Bad Frankenhausen dal 18 novembre al 18 febbraio 2024, ne ripercorrono 25 anni di attività. Non v’è traccia di nostalgia o di esibita malinconia, in soggetti che pure si presterebbero a questo tipo di suggestioni. Una veduta dei fori romani, un calanco tufaceo delle campagne intorno a Civita Castellana, la mole terrosa di Castel Sant’Angelo dal Tevere, luoghi mille volte esplorati dagli occhi degli artisti, acquisiscono nelle opere di Isola una luce nuova, memore tuttavia di quella evocata nel tempo da Poussin, Thomas Jones, Granet, Corot. Altri paesaggi urbani mostrano la Roma edificata a inizio ’900. Sventramenti e demolizioni hanno creato un nuovo scenario, ma Isola, forte di un lungo sodalizio con James Hillman, come il filosofo americano sa che gli dèi esiliati ritornano: ecco «Vulcano», che incede, in vesti borghesi, sulle quinte della città moderna, i cui edifici monumentali hanno gli spigoli arrotondati dello stile Liberty, ottimo soggetto per lo studio di quelle variazioni luminose care a Isola.

C’è più metafisica che malinconia anche laddove quest’ultima si palesa attraverso i suoi simboli e le sue atmosfere: il solido geometrico di Dürer, il passo sospeso di un assorto personaggio in via del Tritone. Le nature morte, caso mai, sono occasione per indagini in un diverso canone. Sono palcoscenici i cui attori alludono, come nella tradizione antica della Vanitas, a diversi significati: «Rebus», come li intitola l’autore in una serie degli anni Novanta, che uniscono riferimenti alla vita privata dell’artista ad altre simbologie. «Sono affascinato da Roger Caillois, spiega il pittore, e da quanto dice a proposito di quegli oggetti che ci proiettano in una dimensione onirica in quanto apparentemente portatori di un significato e una funzione che sempre ci sfugge».

Franco Fanelli, 16 novembre 2023 | © Riproduzione riservata

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Nelle opere di Isola la luce è d’oro | Franco Fanelli

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