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Nello spazio triestino un nuovo omaggio al pittore dei «Cavallini della memoria», tra l’orrore di Dachau e la luce di Venezia
- Monica Trigona
- 07 agosto 2025
- 00’minuti di lettura


Zoran Mušic, «Cavallo azzurro», 1951
Courtesy of Galleria Torbandena
Mušič da Torbandena: un percorso di memoria e silenzio
Nello spazio triestino un nuovo omaggio al pittore dei «Cavallini della memoria», tra l’orrore di Dachau e la luce di Venezia
- Monica Trigona
- 07 agosto 2025
- 00’minuti di lettura
Monica Trigona
Leggi i suoi articoliA vent’anni dalla grande retrospettiva che ne celebrava la forza poetica e la testimonianza storica, la Galleria Torbandena di Trieste torna a dedicare un’importante mostra a Zoran Mušič (1909-2005), uno degli artisti più profondi e tragici del Novecento europeo. La rassegna, aperta sino al 30 agosto, propone un allestimento articolato su due livelli, dove si intrecciano memorie personali, trauma collettivo e l’incessante ricerca di bellezza e verità che ha contraddistinto tutta la produzione dell’autore. Mušič, nato a Gorizia e cosmopolita per vocazione, è stato testimone visivo di alcuni tra i momenti più bui del secolo scorso. La personale triestina espone una selezione di opere che dialogano tra i suoi celebri motivi dalmati, le visioni della serie di Dachau e le raffinate vedute veneziane.
Un corpus che racconta, nel suo insieme, la parabola esistenziale e artistica di un uomo sopravvissuto all’inferno, capace di trasfigurare la sofferenza in pittura. Il piano terra della galleria è dedicato alle due anime apparentemente distanti ma profondamente intrecciate della sua ricerca: i paesaggi mediterranei dell’infanzia e gli orrori del lager. I «Cavallini della memoria» ritornano in tutta la loro carica evocativa e metafisica, figure che sembrano emergere da un sogno atavico, filtrate da una luce interiore che ha il colore del silenzio e della nostalgia.
Queste stesse tele dialogano con quelle della serie di Dachau, avviata nel 1970, e ancora oggi tra le più toccanti testimonianze visive dell’universo concentrazionario. Mušič, deportato nel campo nazista nel 1944, non dipinse l’orrore subito a caldo, ma solo molti anni dopo, in un processo di metabolizzazione estetica e morale. Il titolo della serie, «Nous ne sommes pas les derniers» (Noi non siamo gli ultimi), rimane un monito angosciante e ancora attuale, all’alba di un XXI secolo che non ha cessato di produrre tragedie e persecuzioni. Al piano superiore della Galleria Torbandena, il visitatore viene accolto da un altro volto di Mušič: quello del poeta della luce veneziana, città in cui l’artista visse stabilmente a partire dagli anni Quaranta.
Le vedute lagunari, datate tra gli anni Quaranta e Ottanta, rivelano un’altra sua cifra espressiva: una pittura rarefatta, intima, che restituisce la città non come icona da cartolina, ma come luogo dell’anima. La Galleria Torbandena, storica realtà da sempre votata alla valorizzazione della pluralità culturale, ha avuto un ruolo centrale nel promuovere e custodire l’opera di Mušič. Fin dagli anni Settanta, infatti, il sodalizio tra l’artista e la galleria si è sviluppato in una serie di mostre personali di rilievo, culminate con la collaborazione alla maestosa retrospettiva del Leopold Museum di Vienna, una delle più complete mai realizzate.