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La protesta #MeToo al Met Breuer di New York lo scorso dicembre. Foto © Priscilla Frank

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La protesta #MeToo al Met Breuer di New York lo scorso dicembre. Foto © Priscilla Frank

#MuseumsToo: sotto accusa ora sono gli artisti

Si allarga il movimento #MeToo e i musei Usa ora affrontano dilemmi etici

Jillian Steinhauer

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Già poco dopo la pubblicazione, lo scorso ottobre, dei dettagli di decenni di abusi sessuali e molestie da parte del produttore cinematografico statunitense Harvey Weinstein, arrestato il 25 maggio (ora è in libertà vigilata con braccialetto elettronico), il movimento #MeToo ha contagiato il mondo dell’arte. I musei americani si sono visti costretti ad affrontare dilemmi etici sull’opportunità e sulle modalità di esporre opere di artisti presunti colpevoli di abusi.

Per questo tipo di situazioni però non esiste una risposta standard e condivisa. «La cosa peggiore che un museo possa fare è chiudere gli occhi e sperare che il problema si risolva da solo», osserva Maggie Mustard, che ha contribuito all’organizzazione di «The Incomplete Araki: Sex, Life and Death in the Works of Nobuyoshi Araki» al Museum of Sex di New York, una personale del fotografo giapponese (aperta fino al 31 agosto) le cui esplicite opere spesso raffigurano donne in pratiche di bondage. Dopo mesi di preparazione della mostra, il team curatoriale ha saputo di un’accusa a carico di Araki per «comportamenti sessuali scorretti» presentata da un’ex modella. La Mustard (che non fa parte dello staff del museo) ha contattato la donna e ha aggiunto le sue accuse ai testi murali di presentazione della mostra. Diversi mesi dopo, una delle muse di lunga data di Araki, Kaori, si è a sua volta messa in contatto con i curatori dichiarando di essere stata oggetto di violenze psicologiche da parte del fotografo per oltre un decennio. Gli organizzatori hanno deciso di aggiungere la sua storia alla mostra dopo la pubblicazione di un post da parte della donna e, a maggio, hanno installato nella galleria un tablet interattivo con l’intero post di Kaori in giapponese e in inglese. Hanno anche aggiunto un nuovo testo murale che spiega le recenti decisioni curatoriali in merito a queste rivelazioni e che, sostiene la Mustard, il pubblico dovrebbe conoscere.

Alcuni musei hanno tagliato o annullato mostre di artisti accusati di violenze o abusi sessuali, con l’approvazione degli stessi artisti. Quando durante la sua personale all’Institute of Contemporary Art (Ica) di Boston sono emerse accuse di violenze sessuali contro il fotografo Nicholas Nixon, il museo in un primo tempo ha aggiunto degli avvisi e attivato un forum online aperto, nonostante le richieste di chiusura della mostra. Ma ad aprile, su richiesta dello stesso Nixon, la direzione dell’Ica ha deciso di chiudere la mostra con dieci giorni di anticipo. Lo scorso gennaio, la National Gallery of Art (Nga) di Washington, dopo essersi consultata con i diretti interessati ha deciso di rimandare le mostre personali di Chuck Close e del fotografo Thomas Roma, accusati l'uno di violenze sessuali e l'altro di comportamenti sessuali scorretti. Sia Close sia Roma, ci ha riferito una portavoce della Nga, hanno convenuto sul fatto che «non è il momento giusto per presentare le loro installazioni». Per il momento le mostre sono rimandate a data da destinarsi; nel frattempo però il museo ha mantenuto in esposizione nelle gallerie permanenti un importante dipinto di Close.

La Pennsylvania Academy of Fine Arts (Pafa) di Filadelfia ha tenuto aperta la sua mostra di fotografie di Close che era già in corso quando lo scorso dicembre sono emerse le accuse contro di lui. Dopo aver tenuto un forum collettivo, l’istituzione ha aggiunto una mostra interattiva pop-up e uno «spazio progettuale» incentrati su questioni di genere e potere. Annullare la mostra «avrebbe permesso a tutti di levare gli scudi e dire “ce l’abbiamo fatta; abbiamo fatto chiudere la mostra”, commenta la direttrice del museo, Brooke Davis Anderson. Ho ritenuto che fosse più importante il dibattito del compiacersi di una vittoria».

La Anderson, la Mustard e Kenneth Weine, direttore della comunicazione del Metropolitan Museum of Art di New York, concordano sul fatto che per questioni come queste non esista una soluzione «buona per ogni circostanza». Per esempio, il Met ha contattato l’artista Jaishri Abichandani a capo della protesta silenziosa #MeToo, da lei organizzata al Met Breuer di New York lo scorso dicembre, durante la mostra personale di opere del suo presunto aguzzino, lo scomparso fotografo indiano Raghubir Singh.
 

La protesta #MeToo al Met Breuer di New York lo scorso dicembre. Foto © Priscilla Frank

Jillian Steinhauer, 27 luglio 2018 | © Riproduzione riservata

#MuseumsToo: sotto accusa ora sono gli artisti | Jillian Steinhauer

#MuseumsToo: sotto accusa ora sono gli artisti | Jillian Steinhauer