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Laura Lombardi
Leggi i suoi articoliFirenze. I Raffaello a Mosca: dovevano partire o no? Erano i restauratori d’accordo o no? Alla polemiche scatenate da un articolo su «la Repubblica» e a numerosi interventi sul web riguardo i prestiti alla mostra «Raffaello. La Poesia del Volto» in programma nel moscovita Museo Puškin dal 13 settembre all'11 dicembre la Direzione degli Uffizi ha replicato con un comunicato nel quale smentisce diversi punti.
Prima di tutto che la mostra sia stata organizzata in soli tre mesi, lasso di tempo che corrisponde solo alla sottoscrizione dell’accordo di collaborazione tra il Museo Puškin e le Gallerie degli Uffizi: i mesi sarebbero stati in realtà cinque, tempo giudicato bastante trattandosi di sole 11 opere (otto dipinti e tre disegni, Ndr). Un’affermazione opinabile, dato il calibro delle opere in ballo e i tempi di programmazione molto lunga delle mostre nei musei esteri (si parla sempre delle cose improvvisate, «all’italiana», eppure ora abbiamo anche un direttore straniero...). La Direzione degli Uffizi aggiunge però che, per quanto riguarda gli studi teorici, l’oggetto della mostra affonda le sue radici in un amplissimo dibattito critico testimoniato dagli studi presenti in catalogo: il consueto detto oraziano ut pictura poēsis, viene infatti ripreso e declinato in relazione alla ritrattistica di Raffaello.
Ma, allora, ci chiediamo: se basta il progetto scientifico di alto profilo, per quale motivo spesso viene a esser negato il prestito di opere che vanno a ricostruire complessi importanti dal punto di vista concettuale o confronti illuminanti per capire l’arte di un maestro, adducendo appunto la scusa della fragilità o della importanza delle opere per il museo a cui sono legate?
Altra questione spinosa riguarda i restauratori che avrebbero manifestato resistenze al prestito dei ritratti dei Coniugi Doni di Raffaello, della Galleria Palatina, tanto che perfino l’Opificio delle Pietre Dure si sarebbe «categoricamente» pronunciato contrario. In realtà il «categoricamente», nella relazione del restauratore Roberto Bellucci, si riferisce al punto in cui, pur ammettendo che «lo stato di conservazione delle due opere è sostanzialmente buono, così come appare la stabilità del colore», Bellucci avverte che, data la fragilità di quei capolavori, «sarebbe categoricamente da escludere che viaggiassero in camion, per quanto ammortizzato si tratterebbe comunque di un viaggio di alcuni giorni continuamente», come pure nega «il viaggio in stiva di aereo» se «assemblate in pallet insieme ad altri involucri di vario genere». Opere di piccolo formato come i «Ritratti Doni» avran così goduto del viaggio della cabina, ma anche per quelle contenute in casse climatizzate di più ampie dimensioni, costrette alla stiva, è stato concepito un «imballo specificamente studiato». E lo stesso Marco Ciatti, sovrintendente dell’Opificio, assicura l’adozione di tutti i criteri di sicurezza necessari a garantire una buona trasferta.
Ma al di là delle questioni tecniche, rimane irrisolto il principale interrogativo che riguarda la rimozione da Palazzo Pitti di opere importanti come i due «Ritratti Doni» e la «Madonna del granduca», opere che sono per Raffaello equivalenti alla «Gioconda» per Leonardo. Il neodirettore Eike Schmidt aveva annunciato il suo intento di ampliare la lista delle opere «inamovibili», essendo necessario contemplare anche la Galleria Palatina compresa ora nelle Gallerie degli Uffizi: viene da domandarsi allora se egli intenda annoverare fra gli imprestabili all’estero le tre opere in questione. La risposta dovrebbe essere no, visto che le ha prestate. Ci si potrebbe inoltre chiedere se il prestito della «Venere» di Urbino di Tiziano alla mostra di Urbino non sia fatto invece per permettere a quella Galleria di prestare per la mostra curata da Schmidt la «Muta» di Raffaello, opera caratterizzante quel museo, e come tale, secondo la legge del 2004, non prestabile fuori dei confini nazionali.
Certo siamo nel 2016, viviamo in un mondo globalizzato e ci serviamo del nostro patrimonio culturale, noi italiani, come di una preziosa moneta di scambio, che va di pari passo col detto ormai comune, l’«arte è il nostro petrolio». La Direzione degli Uffizi si appella a un lungo dibattito critico che fa della mostra un’occasione imperdibile di confronto delle opere, ma le ragioni politiche dell’evento non possono essere ignorate. Manca allora, di fatto, un criterio unico: o si ammette che tutte le opere, anche quelle preziosissime, ma in discreta salute, siano esportabili (perché chi può veramente decidere in merito alla validità scientifica di una mostra? Tutte sono valide a seconda dei punti di vista. Ma allora chiediamo in prestito al Louvre pure la «Gioconda»!), oppure nulla, o quasi nulla lo diviene. In questo senso Paesi come la Gran Bretagna o la Germania sono molto severi nel concedere prestiti, ma lo sono esibendo una maggior coerenza nella prassi.
Vi è infine da dire che i Paesi esteri mostrano anche una certa disinvoltura nel chiedere prestiti a noi italiani, opere che loro non presterebbero mai, sapendo che più facilmente soddisferemo le loro richieste.
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