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«Adiyaman» (2023), di Melike Kara. © Peter Tijhuis. Cortesia Schirn Kunsthalle

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«Adiyaman» (2023), di Melike Kara. © Peter Tijhuis. Cortesia Schirn Kunsthalle

Melike Kara: «Creo spazi di memoria»

Nella rotunda della Schirn Kunsthalle la prima grande installazone site specific dell’artista tedesca di origini curde

Francesca Petretto

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Molto quotata e apprezzata a livello internazionale, l’artista tedesca di origini curde Melike Kara (Bensberg, 1985) è uno dei nomi più interessanti della scena contemporanea internazionale. La Schirn Kunsthalle le affida lo spazio della sua celebre Rotunda per la quale l’artista, secondo una tradizione andata consolidandosi negli ultimi anni grazie all’apporto di molti colleghi di fama internazionale che l’hanno preceduta, ha sviluppato una grande installazione site specific, visibile dal 15 febbraio al 12 maggio nell’ambito della sua omonima micro-personale «Melike Kara».

L’installazione vede, secondo la pratica di Kara, la combinazione di materiale fotografico in grande formato con dipinti astratti che riprendono motivi di arazzi annodati o tessuti tradizionalmente, trattati con candeggina, ed elementi scultorei che ricordano padiglioni e stagni e che fanno volutamente riferimento all’architettura della rotonda stessa che li ospita.

Come recita il comunicato stampa di Schirn, Kara «crea spazi di memoria»: basandosi sulle sue origini e radici familiari, compone installazioni che sollevano questioni riguardanti l’identità, la migrazione e la visibilità delle minoranze. L’archivio fotografico di cui si serve per i suoi lavori, in crescita costante dal 2014 in poi, proviene essenzialmente da fonti private; l’artista se ne serve per esplorare la cultura visiva della diaspora e assemblare il materiale che fa da sfondo ai suoi lavori pittorici. Questi partono dalla forma del nodo e dalle diverse tecniche di annodatura e dai motivi utilizzati dai tessitori curdi. Nata in una famiglia alevita (corrente dell’Islam di derivazione sciita, mal tollerata nella moderna Turchia e di fatto perseguitata dal 1935), Kara traccia nelle sue opere il modo in cui i motivi tradizionali della cultura tessile curda sono cambiati nel tempo, prendendo in prestito altri temi dai luoghi della diaspora ovvero adattandosi alle tradizioni locali incontrate durante le migrazioni.

Lei stessa definisce il nodo come «una forma di astrazione, un registro delle culture vicine e dell’ibridazione legata alla diaspora curda», nonché un mezzo di espressione attraverso il quale esplorare la figura e la sua dissoluzione. Il suo processo di creazione, dalla fotografia al dipinto candeggiato, parla di una tensione più ampia, sospesa tra il tentativo di preservare una memoria culturale e la sua incapacità di colmare le esperienze frammentate di una diaspora senza Stato.
 

«Il giardino di Emine» (2023), di Melike Kara. © Studio Kara. Cortesia Schirn Kunsthalle

Melike Kara (2023). Foto: Diana Pfammatter

Francesca Petretto, 13 febbraio 2024 | © Riproduzione riservata

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Melike Kara: «Creo spazi di memoria» | Francesca Petretto

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