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Daniele Monarca
Leggi i suoi articoliScrive Walter Benjamin in I passages di Parigi: «Il vero metodo per renderci presenti le cose è di rappresentarcele nel nostro spazio (e non di rappresentare noi nel loro). (Così fa il collezionista e così anche l’aneddoto). Le cose, così rappresentate, non tollerano in nessun modo la mediazione ricavata da «ampi contesti». È questo in verità (vale a dire: quando riesce) il caso della vista di grandi cose del passato – Cattedrale di Chartres, tempio di Paestum: accogliere loro nel nostro spazio. Non siamo noi a trasferirci in loro, ma loro a entrare nella nostra vita».
Attirare le cose nel nostro spazio, accoglierle nella nostra vita, è quanto ci invita a fare il filosofo; il contrario, sia detto per inciso, di quello che ci è stato insegnato: andare verso gli oggetti, entrare nel loro spazio per svelarne il fatidico messaggio, come se gli oggetti, le opere, avessero sempre un contenuto segreto che noi, perenni studenti, dovessimo solamente decifrare.
Ecco, l’invito di Benjamin capovolge le cose, sono gli oggetti a entrare nel nostro spazio emotivo, esperienziale e qui, nel nostro spazio, gli oggetti entrano in dialogo con tutto quello che ingombra questo nostro spazio. Questo risuonare degli oggetti nel nostro spazio emotivo, produce senso, significato; un significato per ognuno diverso e sempre nuovo, sempre necessario. È una produzione spesso silenziosa, a volte addirittura inavvertita, che non si può non definire «poetica».
Dopotutto, l’etimologia della parola «poesia» ci porta proprio a questo: dal greco «poiesis», faccio, produco, creo. Per molti, questa creazione è un atto privato, segreto, intimo, silenzioso; un atto che ogni collezionista conosce perfettamente: «così fa il collezionista», scrive Benjamin, ed è appunto questa speciale forma di creazione che presiede alla formazione di ogni collezione.
A volte, però, succede che una collezionista come Maria Calderara sia «anche» una designer e diviene quindi naturale che, prima o poi, questa produzione poetica intima e originale, diventi un fatto pubblico, diventi un progetto. Ancora, l’etimologia della parola «progetto» chiarisce il senso di questo passaggio: dal latino «proiectum», gettare avanti, lanciare; così si spiega l’assonanza etimologica dei verbi italiani proiettare e progettare.
Poesia e progetto, sono due momenti del lavoro, dell’opera di Maria Calderara; in questo stretto rapporto, che non si può pianificare a tavolino, che sfugge a ogni strategia di marketing, a ogni brand strategy, si trova l’abbrivio dell’esperienza che rende le collezioni «ispirate» al lavoro di artisti contemporanei (e presenti nella «sua» collezione) davvero uniche e innovative.
Dal 2022 Calderara si è confrontata con diversi autori (Gianni Pettena, Luca Maria Patella, Antonio Scaccabarozzi, Piero Manzoni, Eugenio Tibaldi), ogni volta arricchendo il proprio alfabeto in modo inaspettato. Per la designer non si tratta soltanto di attraversare il lavoro di artisti che sente vicini per trarne, banalmente, spunti e motivi, quanto piuttosto di accoglierli nel proprio spazio emotivo, nella propria pratica immaginativa, fatta di trame e superfici, colori e materiali, intrecci e tessiture, trasformando un pensiero poetico privato in un progetto e quindi in una ricreazione estetica condivisa con chi indosserà i suoi abiti e i suoi accessori.
La nuova collezione «Via Lactea», per la stagione Primavera/Estate 2026, nasce dal dialogo con l’artista giapponese Satoshi Hirose (Tokyo, 1963; vive a Milano). Un artista molto affine a Calderara nella pulizia e nella ricerca di forme emendate da ciò che non è essenziale e, soprattutto, nella tensione verso una leggerezza capace di liberare energie e sguardi. Così, i colori sfumano nelle trame del tessuto, i volumi si aprono in nuvole «morbide e imperfette»; il corpo è «velato da pannelli trasparenti di mussola bianca, come un ricordo che affiora e scompare, il visibile si intreccia con l’intuito»; gli accessori diventano «piccoli cosmi da indossare»; le gonne sono «fluide e leggere, realizzate con cieli stampati tratti dallo Sky Project di Hirose».
La leggerezza è l’aspetto che più emerge negli abiti e negli accessori; come scrive ancora Calderara nelle note che accompagnano la collezione: «Un gesto delicato che ci mette in contatto con la Via Lattea e con quel senso di mistero e connessione che attraversa l’intera collezione, sospesa tra il visibile e l’invisibile. Un omaggio alla bellezza che si scopre nei dettagli, nella leggerezza e nella poesia del quotidiano».
Le note d’intenzione che presentano la collezione chiudono con una bella e precisa citazione da Roland Barthes sulla leggerezza che riassume la poesia di questo progetto: «Ciò che è buono è leggero». Ma si può chiosare anche tornando a Benjamin e alle sue riflessioni sul collezionismo, con un passaggio che chiarisce la felice consonanza tra l’artista Hirose e la collezionista Calderara e la feconda sincronia tra poesia e progetto: «Ciò che nel collezionismo è decisivo, è che l’oggetto sia sciolto da tutte le sue funzioni originarie per entrare nel rapporto più stretto possibile con gli oggetti simili a lui».
In effetti, in questa collezione troviamo le opere di Satoshi Hirose «sciolte da tutte le funzioni originarie»; detto altrimenti: sciolte dalla poesia, dal discorso dell’artista. Le opere così liberate (librate) entrano in un rapporto «più stretto possibile con gli oggetti simili a lui»: l’alfabeto di Maria Calderara. Un rapporto insieme leggero e profondo, in cui opere e abiti si attraversano vicendevolmente per creare nuove forme, nuovi racconti o, per usare una parola cara a Benjamin, nuove «costellazioni», una parola che ci porta a guardare nel cielo, per scoprire, appunto, la Via Lactea.
La nuova collezione Via Lactea sarà presentata martedì 23 settembre 2025, alle ore 18.30, presso lo Spazio Maria Calderara di Milano (via Lazzaretto, 15). Satoshi Hirose realizzerà un’installazione site specific che insieme a una selezione di opere d’archivio sarà accessibile al pubblico, con ingresso libero, fino al 30 settembre 2025.

Satoshi Hirose, Sky Project: «Your Sky, My Sky», 2013, stampa digitale a pigmenti per cartellone pubblicitario, veduta dell'installazione dell'insegna sul tetto dell'Arts Maebashi, Gunma, 2013. Foto Tartaruga | Courtesy Arts Maebashi, Nozimi no le Collection of Arts Maebashi. A destra, camicia in mussola, anello con collage del cielo realizzato a mano su ovale in poliuretano (ogni pezzo è unico), pantaloni lunghi morbidi e larghi di Maria Carderara