«Ritratto di Marianne von Werefkin» (1909), di Gabriele Münter (particolare), Monaco, Lenbachhaus

© Dacs 2024

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«Ritratto di Marianne von Werefkin» (1909), di Gabriele Münter (particolare), Monaco, Lenbachhaus

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Ma chi era il Cavaliere azzurro?

Dopo quasi 50 anni torna il primo collettivo modernista europeo transculturale alla Tate Modern

Prima della pandemia, la Lenbachhaus di Monaco si era rivolta alla Tate con un’idea: condividere i gioielli delle rispettive collezioni in due mostre speciali. È così che la Germania ha ottenuto la prima grande mostra di J.M.W. Turner in 70 anni (che si è chiusa lo scorso 10 marzo) e la Tate Modern inaugura la sua prima mostra di artisti del Blaue Reiter (il Cavaliere Azzurro) dagli anni Sessanta. 

«È un modo di lavorare incredibilmente sostenibile, afferma Natalia Sidlina, curatrice di «Espressionisti: Kandinskij, Münter e il Cavaliere Azzurro» dal 25 aprile al 20 ottobre. Sia in termini di collaborazione, che ci permette di impegnarci a un livello curatoriale e di ricerca profondo con specialisti di entrambe le parti, sia in termini di ambiente, dato che la maggior parte delle opere proviene da un unico luogo». Uno degli obiettivi della mostra è quello di dimostrare che il primo periodo modernista non si limita agli artisti maschi solitari e stellati. «Spesso lo associamo a figure universalmente note come Picasso, Matisse, Kandinskij, e raramente guardiamo alle pratiche collettive», prosegue Sidlina. Forse è per questo che Il Cavaliere Azzurro, una comunità progressista di artisti espressionisti tedeschi nata a Monaco nel 1909, non è più conosciuta nel Regno Unito. «Stiamo cercando di cambiare questa situazione mostrando che Kandinskij, per esempio, era inserito in un modo di lavorare molto più ricco e complesso, aggiunge Sidlina. Stiamo esplorando le sue collaborazioni con artisti performativi, compositori e musicisti; il suo interesse per la fotografia, influenzato da Gabriele Münter; il suo impegno con il colore, informato da artisti come Franz Marc e Robert Delaunay; e altro ancora». 

La mostra si apre con Kandinskij e Münter e li segue nelle collaborazioni con altri artisti europei e statunitensi in contatto a Monaco. Il percorso analizza i temi chiave alla base della loro sperimentazione creativa (spiritualità, suono, luce, colore) e culmina con l’eredità degli artisti del Cavaliere Azzurro e la loro influenza duratura. «La differenza tra Il Cavaliere Azzurro e molti altri gruppi modernisti è che in realtà non era un gruppo, precisa Sidlina. Non c’erano membri, non c’era un manifesto, nessun programma, nessun criterio per esporre. Erano persone che si sono affiliate attraverso legami di amicizia, collaborazione intima e una ricerca comune».

Di conseguenza, il collettivo ha attirato un’ampia rete di artisti, performer, musicisti e poeti, con un divario di 27 anni tra il più anziano e il più giovane, e ha prodotto una gamma diversificata di opere audaci e vibranti. Alla Tate Modern, accanto a opere già conosciute come «Tigre» (1912) di Franz Marc, sono esposte opere di artisti meno noti come la sua compagna Maria Franck-Marc e Marianne Werefkin.

«Naturalmente, una grande mostra collettiva come questa si erge sulle spalle di giganti, e ci sono state numerose mostre che hanno fatto conoscere singoli artisti o luoghi e siti specifici, conclude Sidlina. Per noi è importante portare tutte queste narrazioni sulla stesso piano e vedere l’apporto di ogni artista alla sperimentazione creativa e come tutto ciò ha reso Il Cavaliere Azzurro il primo collettivo modernista europeo transculturale».

«The Dancer Alexander Sacharoff» (1909), di Marianne Werefkin (particolare). Fondazione Marianne Werefkin, Museo Comunale d’Arte Moderna, Ascona

Chloë Ashby, 23 aprile 2024 | © Riproduzione riservata

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