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«Selbstportrait mit Hammer» (1990), di Flatz. Foto: Andreas Struck. © Flatz Foundation

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«Selbstportrait mit Hammer» (1990), di Flatz. Foto: Andreas Struck. © Flatz Foundation

L’intransigente Flatz riflette sul corpo

Performance, sculture e installazioni multimediali dagli anni Settanta a oggi alla Pinakothek der Moderne di Monaco

Francesca Petretto

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Il performance artist, scultore, scenografo, musicista e poeta austriaco Flatz (al secolo, Wolfgang Flatz, nato nel 1952 a Dornbirn, Vorarlberg) è «una delle personalità artistiche più intransigenti del momento». Una retrospettiva alla Pinakothek der Moderne di Monaco, «Flatz: Something wrong with physical sculpture», dal 9 febbraio al 5 maggio si concentra sul tema centrale del suo lavoro: il corpo (il suo corpo). Le performance, le sculture e le installazioni multimediali di Flatz sono radicali e naturalmente concepite per provocare, ma anche per esprimere la vulnerabilità umana e contrastare quella che lui stesso definisce «l’apatia del pubblico».

Nel 1979, un allora ventisettenne Wolfgang posò nudo a mo’ di bersaglio vivente davanti al pubblico di Stoccarda, un po’ come Marina Abramovic nella sua celebre (estrema) performance napoletana «Rhythm 0» del 1974 dove fu abusata, picchiata e trascinata per la stanza. Quanto a Flatz, cinque anni dopo, ne riprese l’idea volendo dimostrare di cosa è capace l’essere umano per amore del denaro: in «Treffer», con indosso solo occhiali da sole, pose all’ingresso dello spazio espositivo un cartello che recitava: «chi centra il bersaglio, riceve 500 marchi in contanti». L’undicesimo lancio dal pubblico colpì e ferì l’artista e la performance terminò. Flatz, come già Abramovic, si era posto nelle condizioni di essere totalmente in balia di un pubblico sempre più assetato di sangue.

Nella notte di San Silvestro del 1990, Flatz si fece poi appendere a testa in giù tra due lastre d’acciaio per rimbalzare fragorosamente contro il metallo come un batacchio di campana: la performance svoltasi a Tbilisi, in Georgia, durò ben cinque minuti, finché l’artista non cadde svenuto e una coppia vestita a feste danzò sulle note del valzer più celebre di Johann Strauss, suo conterraneo: «Sul bel Danubio blu». Questo tipo di performance così come le sue opere scultoree vengono chiamate da Flatz «Physical Sculptures»: in esse viene evocata un’interazione immediata tra l’opera e lo spettatore, tanto fisica quanto psicologica.
Con lavori selezionati dalla fine degli anni Settanta ad oggi, la mostra è dedicata al concetto radicale di corpo secondo Flatz che si rivolge in modo davvero inconfondibile agli aspetti più sensibili e fragili dell’individuo. A questi fa esplicitamente riferimento un autoritratto realizzato nel 1997, il cui titolo, «Something Wrong with Physical Sculpture», è anche il nome dell’intera mostra.

«Selbstportrait mit Hammer» (1990), di Flatz. Foto: Andreas Struck. © Flatz Foundation

«Körper im Raum» (1978), di Flatz. © Flatz Foundation

Francesca Petretto, 07 febbraio 2024 | © Riproduzione riservata

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L’intransigente Flatz riflette sul corpo | Francesca Petretto

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