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«The Power of Water», uno scatto della serie «Yanomami Dream» (2002) di Claudia Andujar © Claudia Andujar. Cortesia della Galeria Vermelho, São Paulo

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«The Power of Water», uno scatto della serie «Yanomami Dream» (2002) di Claudia Andujar © Claudia Andujar. Cortesia della Galeria Vermelho, São Paulo

L’archivio fotografico di Claudia Andujar

Ad Amburgo una retrospettiva sulla fotografa esule dal nazismo che scopre l’Amazzonia con un focus sulla comunità indigena Yanomami

Gilda Bruno

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Non c’è alcuna separazione tra uomo e natura nelle poetiche immagini della fotografa Claudia Andujar (Neuchâtel, 1931), ma un continuo sovrapporsi di volti e orizzonti tropicali, corpi avvolti nella vegetazione dell’Amazzonia o avvinghiati tra loro in sagome che ne richiamano i forti elementi ambientali. Oggi 92enne, l’artista naturalizzata brasiliana cresciuta a Oradea, Romania, da un padre di origine ebraico-ungheresi e una madre svizzera, fu costretta a fare i conti con gli orrori della seconda guerra mondiale durante i primi anni dell’adolescenza. Dopo avere perso l’ala paterna della sua famiglia, compreso suo padre, nei campi di concentramento di Dachau e Auschwitz, Andujar, dapprima rifugiata in Svizzera con la madre, lascia l’Europa alla volta dell’America. Studia discipline umanistiche all’Hunter College di New York, sposa Julio Andujar, il rifugiato spagnolo di cui porta il nome, e nel 1955 si sposta in Brasile: il luogo che, più di ogni altro al mondo, ispirerà la sua carriera fotografica.

Tra le artiste visive più prolifiche di sempre, Andujar ha dedicato decenni della sua vita a riportare l’attenzione sulla comunità Yanomami e la sua lotta per la sopravvivenza in un mondo che mira a estirparne la terra e le risorse naturali. Uno dei maggiori gruppi indigeni presenti sul territorio amazzonico, dove si trovano da millenni, dagli anni Settanta gli Yanomami sono i protagonisti indiscussi della ricerca creativa e dell’attivismo a supporto delle popolazioni native portati avanti dall’artista ancora oggi. In omaggio alla sua documentazione della comunità che l’ha accolta e con la quale ha vissuto in numerose occasioni sin dal loro primo incontro, la Deichtorhallen di Amburgo celebra l’archivio fotografico di Andujar in una vasta retrospettiva: «The End of the World» (9 febbraio-11 agosto) è un viaggio alla scoperta della tradizione indigeno-brasiliana raccontata attraverso le sue serie «The Yanomami Dreams», «The House» e «The Invisible or Reahu». Decine di fotografie catturano il legame intimo tra Andujar e gli abitanti dell’Amazzonia. Caratterizzate da tinte quasi incandescenti e chiaroscuri cinematografici, queste immagini enfatizzano l’attaccamento degli Yanomami nei confronti della foresta, dei rituali e della conoscenza da loro coltivati al suo interno. «Quando arrivai in Brasile, non conoscevo una sola parola di portoghese», racconta la fotografa in una video intervista condivisa sul sito dell’istituzione in occasione della mostra, a cura di Victor Hois. «Fu allora che decisi di comprare una fotocamera e comunicare attraverso questa. Gran parte della mia famiglia venne uccisa dai nazisti tedeschi e così, negli anni, gli Yanomami sono diventati la mia nuova famiglia. Finché sarò in vita, continuerò a lottare per loro».

Leggi anche: La seconda famiglia di Claudia Andujar

«The Power of Water», uno scatto della serie «Yanomami Dream» (2002) di Claudia Andujar © Claudia Andujar. Cortesia della Galeria Vermelho, São Paulo

Gilda Bruno, 06 febbraio 2024 | © Riproduzione riservata

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L’archivio fotografico di Claudia Andujar | Gilda Bruno

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