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Luca Scarlini
Leggi i suoi articoliPiero Camporesi (1926-1997) ha disegnato una personalissima storia d’Italia, attraverso le regole e le dismisure del corpo, narrando, con acribia di erudito e felicità di narratore, di «sughi della vita» (ossia del sangue e della sua simbologia), del cruento uso del corpo dei santi, di formaggi e vini, come anche della centralità dell’opera di Pellegrino Artusi (del cui La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene curò una magistrale edizione per Einaudi negli anni Settanta) nella letteratura postunitaria.
Ora Il Saggiatore sta ripubblicando vari titoli dello scrittore forlivese, tradizionalmente edito da Garzanti e giunge in libreria Le belle contrade, in cui tratta acutamente dell’invenzione, culturale e figurativa, del paesaggio italiano. Il momento storico su cui riflette è sempre quello a lui specialmente caro del passaggio tra Rinascimento e Barocco. Sorveglia a questo affascinante percorso, infatti, una epigrafe dall’opera del micidiale pamphlettista Gregorio Leti, autore de Il puttanismo romano. «Di dove viene che comunemente si dice che l’Italia affina i cervelli?», si interroga lo scrittore seicentesco e sul potere magico del paesaggio del Belpaese esercitato agli occhi degli stranieri, Camporesi indaga acutamente. Al centro della sua ricerca sta la presbiopia tipica con cui la terra del paese è stata osservata, tra la visione indigena che prediligeva la segnalazione della fertilità del suolo e quella dei viaggiatori che mirava decisamente al pittoresco.
Le belle contrade. Nascita del paesaggio italiano, di Piero Camporesi, prefazione di Giorgio Boatti, 216 pp., Il Saggiatore, Milano 2016, € 22,00

La copertina del volume
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