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Stefano Luppi
Leggi i suoi articoliC’è una foto che ritrae nel capoluogo emiliano Allen Jones (Southampton, 1937), tra i principali esponenti della Pop art britannica, e i fondatori della Galleria d’Arte Maggiore g.a.m, Franco e Roberta Calarota, in occasione della rassegna «Allen Jones: Believe it or not». Era il 2002, l’artista aveva già proposto alla Maggiore, nel ’99, alcuni inediti e in una successiva occasione presentava la sua produzione ormai ultratrentennale. Improvvisamente scomparso nel 2022 Franco Calarota, sono la moglie e la figlia Alessia a tenere a battesimo il ritorno dell’artista inglese nelle medesime sale.
L’occasione è «Allen Jones. Forever Icon», visitabile dal 31 gennaio fino al 14 aprile, percorso in cui attraverso una quindicina di pezzi, soprattutto dipinti e alcune plastiche, si apprezza il suo cromatismo su larghe campiture, di ascendenza matissiana nelle due dimensioni, nonché il movimento ironicamente «futurista» delle sue sculture. Certamente l’opera più iconica in mostra è «Body Armour (Kate)» del 2013, celebre scatto che immortala la modella Kate Moss trasformata in scultura grazie a una sfavillante armatura, tentativo di scardinare ruoli predefiniti e ribaltare il significato della «donna oggetto».
Allen Jones entra da decenni a piedi pari nel dibattito del suo tempo contro gli stereotipi, spesso precorrendo temi che oggi paiono quasi banali, come l’attenzione ai corpi, alla loro bellezza e attrazione. Nel 2014 in una intervista sul quotidiano «The Telegraph», affermava: «il fatto è che sull’erotismo nessuno rimane neutrale. Costringe a una risposta. Avrei potuto essere un pittore astratto. Avrei potuto passare la vita a dipingere quadrati. In un certo senso sarebbe stato più facile, ma sarebbe stato anche molto più limitativo». Nei lavori esposti, databili tra gli anni Ottanta e tempi recenti, viene fuori anche tutto il glamour di questo autore, associato non a caso a mostri sacri delle arti, come Stanley Kubrick, Elton John, Mick Jagger e Vivienne Westwood.


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