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Veduta della mostra della mostra «Women Dressing Women», sezione «Agency: Liminal Spaces of Fashion»

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Veduta della mostra della mostra «Women Dressing Women», sezione «Agency: Liminal Spaces of Fashion»

Le signore dell’alta moda a New York

Dalle pioniere parigine a Miuccia Prada, da Coco Chanel a Iris van Herpen: 80 abiti di 70 stiliste ripercorrono al Metropolitan Museum la storia della haute couture dal 1910 ad oggi e la sua via via crescente commistione con l’arte, la cultura, l’antropologia e la storia sociale

Giovanni Pellinghelli del Monticello

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«Women Dressing Women», mostra «autunno-inverno 2023» del Metropolitan Museum di New York, fino al 3 marzo presenta oltre 80 abiti dagli esordi della haute couture all’epoca contemporanea, illustrando la creatività e l’eredità artistica delle donne stiliste (catalogo The Met con Yale University Press). È così documentata l’opera di oltre 70 creatrici di moda, dal 1910 ad oggi: dall’alta moda francese di Jeanne Lanvin, Louise Boulanger, Elsa Schiaparelli, Madeleine Vionnet, Maison Paquin, Nina Ricci e Coco Chanel a quella inglese dall’antesignana Lucile (Lady Duff-Gordon) a Zandra Rhodes e alla «politica» Katharine Hamnett a quella americana di Hattie Carnegie (ebrea viennese sfuggita ai nazisti) con Pauline Potter de Rothschild, e poi Donna Karan e Diane von Furstenberg e ancora Claire McCardell o Isabel Toledo, fino agli exploit contemporanei di Iris van Herpen, Rei Kawakubo, Anifa Mvuemba e Simone Rocha.

Nell’occhio di bue le stiliste che hanno pionieristicamente aperto la via: dalla misconosciuta Henriette Nigrin Fortuny, fagocitata dalla fama del marito Mariano di cui fu invece indispensabile alter ego, a Hanae Mori, Rei Kawakubo (Comme des Garçons), Sonia Rykiel, Phoebe Philo (Céline), Jil Sander, Gabriela Hearst (Chloé), Pia Davis e Autumn Randolph (No Sesso), Miuccia Prada, Vivienne Westwood e Maria Grazia Chiuri (prima stilista-donna per Dior) fra le molte, rivisitando e scoprendo identità, ispirazioni, influenze formative e connessioni creative delle Signore dell’alta moda, del prêt-à-porter e dell’avantgarde, aprendo così a nuove intuizioni e a una più approfondita comprensione del loro lavoro.

La Carl and Iris Barrel Apfel Gallery accoglie il pantheon delle creatrici attive a Parigi quale storico centro della haute couture, evidenziando l’ascesa della couturière e la sua visibilità da un lato e dall’altro la natura «collettiva» della creazione stilistica, e chiarisce quanto la moda sia stata veicolo primario delle prime forme di autonomia finanziaria, sociale e creativa delle donne. La Lizzie and Jonathan Tisch Gallery amplia il raggio delle stiliste nel tempo e nello spazio e rivela come i cambiamenti generazionali abbiano portato di volta in volta nuove opportunità per le donne grazie anche alle contaminazioni sempre maggiori fra moda, arte, cultura, antropologia e storia sociale.

La mostra narra anche storie d’assenza e d’oblio: le stiliste il cui lavoro ha solo di recente ricevuto credito e riconoscimento diffuso, come la già citata Henriette Nigrin Fortuny, determinante nel disegnare il celebre abito Delphos, realizzato per la prima volta nel 1909, o Ann Lowe, che disegnò l’abito da sposa di Jacqueline Bouvier Kennedy nel 1953.

L’Anna Wintour Costume Center espone infine pezzi iconici di stiliste come Sarah Burton (Alexander McQueen), Gabrielle Chanel, Ann Demeulemeester, Elizabeth Hawes, Jeanne Lanvin, Madame Grès, Miuccia Prada ed Elsa Schiaparelli, a cui affianca abiti di stiliste contemporanee: Hillary Taymour (Collina Strada), Anifa Mvuemba (Hanifa), Iris van Herpen (la cui mostra personale a Parigi è stata inaugurata il 7 dicembre da una testimonial di eccezione: la regina dei Paesi Bassi Máxima in un abito «nude» rosa carnicino con applicazioni mordoré in rilievo realizzate con stampante 3D), e ancora Norma Kamali, Ester Manas, Jamie Okuma, Simone Rocha, Marine Serre, Yeohlee Teng fra le altre, tutte a illustrare lo spirito del design contemporaneo, definito dalle attuali possibilità creative e concettuali fra sostenibilità, frontiere tecnologiche e pluralità espressive.

 

Giovanni Pellinghelli del Monticello, 03 gennaio 2024 | © Riproduzione riservata

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