Stefano Causa
Leggi i suoi articoliUscito da poche settimane, è uno dei libri più briosi e intelligenti di questi anni (forse non un’endiadi adattissima alla storia dell’arte che circola tra riviste e atenei). Bergamasco di formazione, leccese di adozione dove insegna all’Università, Simone Facchinetti entra mani e piedi nell’universo centrale e parallelo, interno ed esterno all’accademia, costituito dal mercato.
Un acquario versicolore dentro cui nuotano o annaspano antiquari, collezionisti, mecenati e amatori, battitori più o meno liberi, direttori di museo, investitori e investiti, nonché studiosi variamente forniti della virtù dell’attribuzionismo. Un carosello di centri e colpi a vuoto, capolavori e bidoni, papaveri e papere, ricci scovati in un’asta in culo al mondo, copie seicentesche di Tiziano e repliche della «Gioconda», passaggi di mano, travestimenti e incauti acquisti; qui e là un furtarello. Una commedia umana sopravvissuta al passaggio al digitale con gli antichi maestri come motore e approdo. E per una volta il blasone balzacchiano non è appiccicato a sproposito atteso il tipo di fauna, tra protagonisti e figure secondarie, che Facchinetti fa emergere in controluce. Si parva licet, tono e ritmo della pagina sono quelli delle Illusioni perdute.
Quasi tutti noi abbiamo legami col mercato, sebbene i valori e i limiti del rapporto non facciano, diciamo così, giurisprudenza. Ma rispetto a chi, come lui per primo, ha intrapreso la salita del mestiere confidando in quella che Umberto Eco dice «memoria cartacea», oppure rispetto al conoscitore che lavori dentro e fuori il sistema economico dell’arte, le regole d’ingaggio sono, oggi, per Facchinetti come per noi tutti, nuove e diverse.
Se mille anni fa il patriarca Bernard Berenson lamentava che non si hanno mai abbastanza fotografie; e se un mercante amatore come Daniel Wildenstein si sentiva in dovere di ricordare che anche l’occhio migliore sbaglia, in questi ultimi anni, caratterizzati da un autentico surplus visuale, è venuto il momento di riaffilare i ferri del mestiere e riprovare a ragionare su che cosa voglia dire leggere un’immagine.
La prima delle tre interviste con cui Facchinetti si congeda dal lettore (quella a uno storico sanamente impuro come Carlo Ginzburg) rimarca quanto, da oltre quarant’anni, le matrici degli strumenti del conoscitore siano più varie e vaste di quanto si possa pensare. Ma attenzione alla collana. Non casualmente il libro è ricoverato sotto la tesa di Allemandi tra quei «Testimoni dell’arte» capitanati dall’origine da Mina Gregori (che giusto in queste settimane è centenaria), una delle trovate più sollecitanti e trasversali della scena editoriale di fine secolo. Una volta a casa, lo allineeremo con altri titoli della stessa collana trasudanti dati, schegge di memoria e inedite connessioni, dalla Cultura dell’ignoranza di Alvar González -Palacios al Viaggio di nozze al Louvre di Fruttero e Lucentini.
Lettore di romanzi, spettatore di ottimi e buoni film, come quello di Tornatore in copertina, Facchinetti scrive quasi con pari gusto e desiderio feroce. A dispetto che sia uno storico d’arte di prima categoria.
Il mercato dell’arte. Le regole del gioco
di Simone Facchinetti, ill. col., 286 pp., Allemandi, Torino 2023, € 24
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