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Germano D’Acquisto
Leggi i suoi articoliC’è un fiore che non appassisce mai, almeno nelle mani di Nobuyoshi Araki. E non è un fiore qualunque: è la Polaroid. Dal 1° ottobre 2025 al 12 gennaio 2026 il Musée Guimet di Parigi celebra l’istantaneità, l’ossessione e la poesia domestica del fotografo giapponese con l’esposizione «POLARAKI», un tributo a un medium che Araki ha trasformato in un diario visivo capace di raccontare amore, sesso, vita e morte in quadrati da 7,5 centimetri per lato. Polaroid che non si limitano a rappresentare fiori: sono fiori, sboccianti nel momento stesso in cui la chimica della carta li rende visibili, conservando però quella freschezza che le corolle naturali tradiscono al primo soffio di vento. E, come tutti i fiori davvero straordinari, il loro profumo, metaforico, certo, persiste anche quando chi le osserva si allontana.
Araki, nato a Tokyo nel 1940, studia fotografia e passa i primi anni della carriera in un’agenzia pubblicitaria, prima di diventare indipendente nel 1972. È qui che nasce la sua fama: primi piani che indugiano sull’intimità, sul corpo femminile, e che oscillano fra erotismo e pornografia, fra contemplazione estetica e scandalo programmato. I suoi lavori degli anni Settanta e Ottanta catturano la quotidianità di un Giappone in rapido cambiamento, mentre Araki stesso sembra voler registrare ogni istante della vita con un senso quasi ossessivo di urgenza, come se il mondo potesse scomparire da un momento all’altro.
Negli anni Novanta, l’artista si innamora della Polaroid, strumento improvvisamente capace di registrare l’immediato, il fugace, il caotico. La Polaroid diventa il suo diario, il suo laboratorio poetico, la sua camera delle meraviglie quotidiane. Stéphane André, collezionista e curatore della mostra, descrive il risultato come un «cabinet de curiosités moderno, ordinato eppure anarchico», una raccolta di momenti catturati in modo apparentemente casuale ma organizzati con un’accuratezza da minuzioso demiurgo. La vita, in Araki, diventa una sequenza di istantanee che oscillano tra estasi e devastazione, tra fiori appena sbocciati e corpi che sfidano ogni pudore.
Ed è proprio André a entrare nella storia dell’arte: fra il 2000 e il 2024 ha collezionato quasi mille Polaroid di Araki, tutte donate al Museo Guimet nel 2025. «Araki’s Paradise», così si chiama la sezione centrale dell’esposizione, riproduce l’allestimento dell’appartamento parigino del collezionista, con le stampe montate in 391 cornici. Metà delle combinazioni sono opera dell’artista, metà frutto della fantasia di André, che ha scelto l’ubicazione di ogni cornice, creando una griglia che trasforma il caos quotidiano in poesia visiva. Un piccolo dettaglio, non trascurabile: due ex modelle hanno richiesto di non apparire, e così lo spazio delle loro immagini rimane vuoto, silenzioso e rispettoso, un gesto di delicatezza che sorprende in un contesto spesso scandaloso.
Nobuyoshi Araki, Senza titolo, 1990-2024. © Nobuyoshi Araki. © Musée Guimet, Paris / Nicolas Fussler, photographe
Nobuyoshi Araki, Senza titolo, 1990-2024. © Nobuyoshi Araki. © Musée Guimet, Paris / Nicolas Fussler, photographe
La Polaroid, in Araki, non è un semplice strumento fotografico: è un diario, un’estensione della memoria, un oggetto da scrivere, tagliare, riassemblare. Dalle prime serie dedicate alla vita con Aoki Yoko, dal loro matrimonio al suo doloroso decesso, alle immagini degli anni Novanta, l’istantanea diventa testimonianza diretta, esplosiva e crudele. Come dice il fotografo, «la vita è un flusso continuo, e io voglio catturarlo così com’è», e la Polaroid, con la sua chimica impaziente, obbedisce senza esitazioni. Gli scatti di Araki sono un po’ come i pensieri che annotiamo su post-it colorati: rapidi, immediati, fragili eppure capaci di restare impressi per sempre.
Ma non è solo la spontaneità a rendere Araki unico: è il suo sguardo estetico, la capacità di oscillare tra intimità domestica e provocazione erotica, tra fiori e corde, kimono e tatami, in un cortocircuito fra tradizione giapponese e ribellione contemporanea. Le sue immagini, se lette attraverso il filtro del shunga e del kinbaku, diventano un ponte fra storia e scandalo, fra erotismo raffinato e pornografia esplicita, ma sempre filtrate dalla consapevolezza che il mondo evolve, e con esso il modo di guardare e giudicare. Non è un caso che Araki sia stato spesso al centro di polemiche: le sue Polaroid sfidano il confine tra arte e voyeurismo, tra intimità e trasgressione, costringendo lo spettatore a porsi domande che vanno oltre il semplice sguardo.
Araki è anche un autore prolifico: oltre 500 libri, molti autoprodotti già dagli anni Sessanta, pubblicazioni in fotocopie da agenzia pubblicitaria che oggi sembrano cimeli di una generazione che voleva resistere all’omologazione. Per «POLARAKI», André ha prestato otto volumi esclusivi dedicati alla Polaroid, piccoli libri da maneggiare come gioielli, capaci di mostrare la meticolosità e il delirio creativo di un artista che ha fatto della quotidianità una scena teatrale e del suo stesso sguardo un atto di poesia. Sfogliarli è come entrare nell’appartamento parigino del collezionista: ogni pagina è un’istantanea di un mondo che non tornerà più, eppure resta eterno nella sua fugacità.
La mostra al Guimet non è quindi un semplice omaggio a una tecnica fotografica, ma una riflessione sulla memoria, sul desiderio, sull’ossessione. Le Polaroid di Araki diventano specchi, finestre e corolle, condensando l’intera esistenza dell’artista in piccoli quadrati istantanei. E, mentre cammini fra i grid ordinati e anarchici, fra fiori che non appassiscono e corpi che non smettono di provocare, vieni colto da un pensiero semplice e crudele: la vita, proprio come una Polaroid, è fugace, imprevedibile… e infinitamente bella nella sua imperfezione. L’ironia di Araki è sottile, ma sempre presente: osservi un fiore e un corpo nudo nello stesso istante e ti rendi conto che il mondo è un caos poetico che qualcuno ha avuto il coraggio di fermare per un istante, e che noi, per fortuna, possiamo guardare ancora.
Nobuyoshi Araki, Senza titolo, 1990-2024. © Nobuyoshi Araki. © Musée Guimet, Paris / Nicolas Fussler, photographe
Nobuyoshi Araki, Senza titolo, 1990-2024. © Nobuyoshi Araki. © Musée Guimet, Paris / Nicolas Fussler, photographe