«L’ironia? Un morbo che consuma le migliori forze creative». Ad affermarlo è stato uno dei maestri del Novecento, l’accigliato Carlo Carrà. Da quella sentenza senz’appello è passato quasi un secolo, ma il sistema dell’arte continua a essere allergico nei confronti degli outsider e dei trasgressivi. Bisogna essere seriosi, corrucciati e allineati in modo da non turbare i benpensanti. Soprattutto quando c’è di mezzo il mercato. Con il denaro non si scherza e del resto tra i tanti che acquistano gli arazzi di Alighiero Boetti ben pochi riflettono sugli aspetti di una ricerca dove il primo a non trovare più posto è lo stesso autore che si sdoppia in Alighiero e Boetti per poi sviluppare una dualità dove ordine e caos vanno a braccetto nell’intento di fare della soluzione un enigma. Quando l’ironia sfugge al controllo conviene farne un feticcio, anestetizzarla, metterla su un piedistallo, com’è accaduto con le scatolette di «Merda d’artista» di Piero Manzoni che sono arrivate a sfiorare i 300mila euro.
Al contrario di quanto avviene per il cinema e la letteratura, in arte l’interpretazione ironica appare spesso sconsigliabile. Chi non segue la strada del «politically correct» è Francesco Poli che nel suo saggio L’ironia è una cosa seria (pubblicato di recente da Johan & Levi) evidenzia aspetti insospettabili nell’ambito dell’Arte povera, un movimento guardato generalmente con riverenza e circospezione. Dalla sua analisi si scopre, per esempio, che una delle opere più emblematiche delle neoavanguardie come «Scultura che mangia l’insalata» di Giovanni Anselmo, ha un’evidente tensione ironica nel «bizzarro incontro fra un cespo di lattuga e un pilastrino di granito».
Ancor più esplicito l’intento di Luciano Fabro che nella serie delle «Italie» appende lo stivale a testa in giù liberando «l’icona italica dai luoghi comuni e aprendola a imprevedibili interpretazioni». Chi rende esplicita l’ironia è Pino Pascali a cui la Fondazione Prada di Milano dedica, sino al 23 settembre, un’ampia retrospettiva che tra i tanti meriti ha il solo difetto di non rinunciare a un certo vetrinismo. Comunque sia, la componente imprevedibile e immaginifica fa parte integrante della sua opera. Chi dovesse iniziare una collezione farebbe bene a scegliere i «Bachi da setola», geniali sculture tattili che strisciano per terra come bruchi, realizzate con gli scovoli di nylon colorati, ovvero gli spolverini che si utilizzano per togliere la polvere. Per un collezionismo di fascia medio-alta i prezzi sono attualmente invitanti e il 20 aprile nell’asta online di Sotheby’s sarebbe bastata un’offerta di poco superiore a 100mila euro per acquistare un esemplare proveniente dalla galleria L’Attico di Roma, rimasto invece invenduto. Costa infinitamente meno puntare sul Pascali pubblicitario (ha lavorato per Carosello e ha realizzato sigle televisive) poiché sono sufficienti 4-5mila euro per mettersi in casa un’opera su carta destinata nel tempo a rivalutarsi. Proprio di recente la galleria Frittelli di Firenze ha esposto la sequenza di 51 tavole rimaste sino a ora inedite di «Intermezzo 23», un cortometraggio interamente disegnato da Pascali.
E a proposito di pubblicità, la star assoluta rimane Armando Testa che intorno alla comunicazione commerciale ha trasformato il linguaggio visivo e verbale rendendolo sorprendente e imprevedibile tanto da diventare un riferimento importante, anche per la generazione dei più giovani, da Maurizio Cattelan a Fischli & Weiss. Sino al 15 settembre a Venezia è aperta la retrospettiva dedicata a Armando Testa a Ca’ Pesaro con un’ampia sintesi che spazia dai primi esperimenti grafici del 1937 sino al 1990. I prezzi sono ancora assai convenienti (la galleria di riferimento è Continua di San Gimignano) e la sua «Sedia AT» in 100 esemplari del 1990 si può acquistare intorno ai 2mila euro, mentre i manifesti più rari sfiorano i 5mila euro. I dipinti di grandi dimensioni infine possono superare i 20mila euro.
Torinese come Testa, l’artista che più di ogni altro ha fatto dell’ironia lo strumento di un dissenso permanente nei confronti dei codici linguistici è Aldo Mondino che sin dalla metà degli anni Sessanta ha imposto il proprio segno individuale prendendo le distanze dall’Arte povera. La verità espressa da Mondino è paradossale e ingannevole in un contesto instabile, come testimoniano i dipinti su linoleum o la serie dei «Tappeti stesi», sbalorditiva simulazione dei tappeti orientali realizzati su eraclite. Questi ultimi, proprio per la loro rarità, sono i più ambiti dal mercato e per gli esemplari di grandi dimensioni le valutazioni possono superare i 50mila euro. Ma nell’ambito della sua produzione si possono scovare testimonianze storiche anche a meno di 10 mila euro.
Alla fine degli anni Sessanta un altro artista che ha scelto di muoversi intorno al periglioso crinale del fantastico è l’avventuriero Aldo Spoldi che nel 1968 ha inventato la «Banda del Marameo», un gruppo di trasgressivi sbeffeggiatori che al materialismo storico di Karl Marx preferisce di gran lunga le tesi di Herbert Marcuse. Dagli anni Ottanta, con il ritorno alla pittura, Spoldi ha dato vita a installazioni dagli effetti inattesi nell’ambito di un procedimento che sviluppa continue metamorfosi e sabotaggi dove i principi narrativi vengono stravolti in base a quanto accade con «La guerra dei mondi», recentemente esposta alla Fondazione Stelline di Milano. Spoldi, che ha come riferimento lo Studio Marconi di Milano, è un altro ironico ancora ampiamente sottovalutato e i suoi grandi interventi ambientali hanno stime di 15-20mila euro, sebbene in asta le tecniche miste, con i suoi caratteristici personaggi virtuali, s’intercettano a cifre anche inferiori ai 2mila euro.
All’inizio del Terzo Millennio l’ironia ha conquistato (momentaneamente) il potere grazie a Maurizio Cattelan, cinico e spregiudicato nella sua capacità di conciliare spettacolo e pubblicità creando per ogni suo intervento un’efficace spirale mediatica. Il mercato lo ha premiato con magnanimità e l’8 maggio 2016 da Christie’s a New York «Him», il suo Adolf Hitler in preghiera, ha raggiunto lo strepitoso record di 17,2 milioni di dollari. Da allora la situazione è profondamente cambiata e nell’ultimo anno sono stati venduti in maggior parte multipli (molto gettonati quelli di 40 centimetri della scultura «L.O.V.E.» in piazza Affari a Milano) al di sotto dei mille euro.
In contemporanea a Cattelan è emersa una generazione di artisti meno fortunati che nel 1995, in occasione di una mostra a Mannheim, sono stati riuniti nel gruppo del Concettualismo Ironico Italiano. All’interno di quel movimento-non movimento sono cresciuti autori quali Francesco Garbelli, Antonella Mazzoni, Alessandra Galbiati, Antonio Riello, Dario Ghibaudo e Corrado Bonomi che hanno ripensato radicalmente al rapporto con l’oggetto creando slittamenti e inganni visivi, paradossi e stravolgimenti. Di Bonomi per esempio (i suoi lavori sono disponibili anche al di sotto dei 5mila euro) è emblematica la serie di opere dedicate alla storia dell’arte che prevede una provocatoria alterazione dei codici così come le «fake» dove l’artista crea maquette di mondi assurdi solo a prima vista logici e razionali. Nulla di più simile alla distopia della realtà che ci apprestiamo a vivere con l’avvento dell’Intelligenza Artificiale sapendo bene che a salvarci sarà l’ironia, tra le poche cose da prendere sul serio. Sono del resto molti i collezionisti che quando fanno le loro scelte non ci rinuncerebbero per nessuna ragione, da Tullio Leggeri a Emilio e Luisa Marinoni sino a Volker Feierabend, un severo tedesco che a questo ambito trasgressivo della ricerca ha dedicato un’ampia raccolta. Chi teme di fare un acquisto frettoloso per non aver meditato a sufficienza, farebbe bene a ricordare l’aforisma di Oscar Wilde: «Sono solo i superficiali a non giudicare dalle apparenze».
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