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«Pseudomnesia: The Electrician» (2023) di Boris Eldagsen © Boris Eldagsen. Cortesia di Sony World Photography Award

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«Pseudomnesia: The Electrician» (2023) di Boris Eldagsen © Boris Eldagsen. Cortesia di Sony World Photography Award

La fotografia artificiale è destinata a rimanere: ecco perché dovremmo essere preoccupati

Forse dovremmo concentrarci meno sul fatto che queste immagini siano vere fotografie e più sulla correttezza morale del loro funzionamento

Il fotografo Boris Eldagsen ha recentemente suscitato un’ondata di dibattiti e riflessioni nel mondo della fotografia: ha vinto infatti una delle categorie dei Sony World Photography Awards presentando un’immagine «sintetica», prodotta utilizzando l’intelligenza artificiale, detta anche rete neurale generativa, di DALL-E 2.

Eldagsen sostiene che il suo intento non era quello di ingannare e che ha rifiutato il premio alla cerimonia di premiazione perché gli organizzatori non hanno esplicitato la natura sintetica dell’immagine. Il suo obiettivo, afferma, è sempre stato quello di suscitare un dibattito sull’impatto che queste tecnologie hanno sul modo in cui pensiamo alla fotografia. Ha anche chiarito la sua posizione, sostenendo che queste immagini artificiali non sono fotografie e non dovrebbero essere accettate nei concorsi di fotografia. Ma è così semplice?

In una successiva intervista alla BBC, Eldagsen ha descritto queste immagini come «protografie», spiegando come una vera fotografia è creata dalla luce che reagisce su una superficie sensibile, mentre queste immagini sono il risultato di «suggerimenti» inseriti in una rete neurale. Tuttavia, questa descrizione nasconde il lato più complesso (e oscuro) della creazione delle immagini sintetiche.

Per generare fotografie così incredibilmente realistiche, queste reti neurali vengono addestrate su enormi serie di dati di milioni di fotografie preesistenti, che permettono loro di formare le connessioni neurali necessarie per trasformare una richiesta testuale in un’immagine fotorealistica. In un certo senso, questi sistemi non producono esattamente nulla di nuovo: sintetizzano nuove immagini basandosi sui dati delle fotografie preesistenti.

In questo modo «imparano» come la luce e le lenti interagiscono per creare immagini in una fotocamera convenzionale, ma non lo fanno da soli. In un certo senso i loro risultati sono quasi più vicini al collage o alla modellazione 3D che alla fotografia convenzionale. Il problema è che questi sistemi faticano a generare immagini di cose su cui non sono stati addestrati e questo limiterà la loro creatività.

Come ha detto Eldagsen in un’intervista, «il linguaggio fotografico è diventato un’entità fluttuante separata dalla fotografia e ha ormai una vita propria». Allo stesso tempo, vale la pena notare che la fotografia computazionale e generativa non è esattamente una novità; tolleriamo da tempo un’ampia gamma di effetti di post-produzione applicati alle fotografie che non hanno alcun rapporto diretto con la luce, gli obiettivi e gli altri elementi che associamo alla fotografia tradizionale. I telefoni cellulari impiegano sempre più spesso le reti neurali per migliorare le immagini delle loro fotocamere, a volte modificandole drasticamente e producendo un’immagine che non sarebbe possibile ottenere con la sola ottica. Tra la fotografia tradizionale e le immagini sintetiche esiste quindi anche una via di mezzo, quella delle fotografie «assistite» che combinano il meglio di entrambi i mondi.

Forse parte del problema di questo dibattito, tuttavia, è che la fotografia viene utilizzata per un’enorme varietà di scopi, e parlare di tutti nello stesso modo è troppo approssimativo. Ci sono casi in cui potremmo essere d’accordo sul fatto che l’uso non dichiarato di queste immagini sia problematico, per esempio nel fotogiornalismo, dove il rischio di un uso improprio è enorme e potrebbe avere conseguenze davvero pericolose.

Le immagini sintetiche di eventi di cronaca circolano già ampiamente sui social media (come una recente immagine dei presidenti Putin e Xi) e nelle mie ricerche ho scoperto che le redazioni dei giornali temono molto i pericoli che le organizzazioni giornalistiche potrebbero correre utilizzando per errore una di queste immagini. Forse è molto meno importante nel contesto dell’arte, dove queste reti neurali generative sono uno strumento di espressione potenzialmente interessante, come sostiene lo stesso Eldagsen.

Ma la vera domanda è se il dibattito debba concentrarsi meno sul fatto che queste immagini siano considerate fotografie e più sulla correttezza morale o meno del loro funzionamento. È sempre più evidente che i dati di addestramento per molte di queste reti neurali attingono a immagini protette da copyright di fotografi esistenti, e sono sempre più numerose le cause intentate contro le aziende che hanno creato le reti neurali. Al di là dei diritti e dei torti delle immagini stesse, dovremmo chiederci se sia giusto che i fotografi abbiano perdite economiche a favore di sistemi che sono stati resi possibili solo grazie alle loro fotografie.

Lewis Bush è un fotografo londinese. Attualmente è dottorando presso la London School of Economics nel dipartimento di Media e Comunicazione e in passato è stato direttore del corso MA Photojournalism and Documentary Photography presso il London College of Communication, University of the Arts London.

Lewis Bush, 26 aprile 2023 | © Riproduzione riservata

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