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Alessandro Martini
Leggi i suoi articoliSe il 2015 era stato «l’anno d’oro dei musei italiani» (cfr. n. 363, apr. ’16, p. 20), il 2016 ha raggiunto nella comunicazione ministeriale nuove vette di successo, destinate a crescere indefinitamente nel futuro (che si annuncia «radioso») della cultura nazionale, grazie a riforme, domeniche gratuite, restauri e partecipazione social.
È di nuovo record per i musei statali italiani? Il ministro Franceschini ha sintetizzato, lo scorso gennaio, i numeri del 2016: «Riforma funziona: in 3 anni +6 milioni di biglietti e +45 milioni di incassi». E pazienza se qualcuno ha contestato la lettura dei dati (cfr. n. 372, feb. ’17, p. 4). Di sicuro i musei statali sono sempre più social, nell’ambito di politiche fortemente «innovative» e «giovani» (con tanto di hashtag sempre nuovi: a marzo, «mostri, unicorni, gorgoni e creature fantastiche»), promosse da un Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo sempre più iperattivo (cfr. articoli da p. 1). Soltanto negli ultimi tempi sono state annunciate la Giornata del Paesaggio (la prima edizione lo scorso 14 marzo), l’Anno nazionale dei Borghi (dopo l’Anno dei Cammini, nel 2016) e il Piano Strategico del Turismo (cfr. lo scorso numero, p. 10) per il rilancio del turismo culturale diffuso e periferico. Anzi, «slow», come dice il Mibact che sostiene questi progetti, per «offrire un’esperienza turistica più sostenibile e autentica, allo stesso tempo lontana e complementare rispetto a quella delle località universalmente note». Come si colloca in questa politica il sistema «diffuso» dei musei italiani? E quale possibile confronto emerge della classifica tra l’Italia e il resto del mondo, Europa in particolare? Da mesi si sa che uno dei nostri «competitor» sul fronte del turismo museale, la Francia, vive tempi di grande difficoltà. Il Louvre ha perso visitatori, così come molti altri luoghi culturali non soltanto di Parigi (cfr. n. 372, feb. ’17, p. 4). Sono gli effetti non soltanto degli atti terroristici, ma anche delle conseguenti misure di sicurezza. Non è una novità. Già l’anno scorso, la nostra classifica sull’affluenza nei musei internazionali nel corso del 2015 recava il titolo «L’anno della grande paura» (cfr. n. 363, apr. ’16, pp. 1 e 20-21), allora di stretta attualità ma anche in qualche modo «profetico». La paura non è finita, non soltanto a Palmira e ad Aleppo (cfr. p. 15) ma, appunto, anche nel primo museo al mondo per numero di ingressi, il Louvre, vittima a febbraio di un attentato da parte di un «lupo solitario» (cfr. lo scorso numero, p. 4). Maggiore la paura e più acuta la crisi in Medio Oriente e Nord Africa, in cui il turismo ha costuito in passato una voce di bilancio importante. A febbraio il presidente egiziano al-Sisi ha sottolineato con forza il ruolo dei musei e della cultura nella lotta contro il terrorismo (cfr. p. 14) e ha lanciato un appello per il ritorno dei turisti, che negli ultimi anni hanno evitato l’Egitto con conseguenze disastrose sull’economia e sui beni culturali.
Giù Francia, su Usa
Nonostante il calo del turismo straniero a Parigi dopo gli attacchi terroristici, il Louvre (1) continua a guidare la classifica mondiale con 7,4 milioni di visitatori nel 2016, ma in calo da 8,6 milioni nel 2015. E pensare che all’inizio del 2015, pochi giorni prima dell’attentato a «Charlie Hebdo», l’obiettivo dei 10 milioni sembrava a portata di mano. Il crollo complessivo di due milioni dal 2014 ha eroso in maniera significativa i ricavi dalla vendita dei biglietti in un momento in cui i costi della sicurezza sono saliti alle stelle. A Parigi anche il Musée d’Orsay (al numero 16, dal 10 del 2015) perde ingressi, scendendo a 3 milioni di visitatori dai 3,4 del 2015. Guadagna invece posizioni il Centre Pompidou (13, era al n. 16, con +275mila ingressi), che celebra quest’anno il suo 40mo compleanno ed è forse meno dipendente dai visitatori provenienti dall’estero, in particlare da Stati Uniti e Cina. Calo anche in Belgio, dove Bruxelles è stata anch’essa vittima di attentati, lo scorso marzo: i Musées Royaux des Beaux-Arts de Belgique (comprendono anche Musée Magritte e Musée d’Art Moderne) sono crollati dai 776mila visitatori del 2015 ai 497mila del 2016 ed escono dai primi 100 (erano al n. 80). In crescita invece i principali musei di Madrid: +400mila ingressi al Reina Sofía (fino a 3,6 milioni: è n. 10 dal 12 del 2015), mentre il Prado (14 da 19) ha infranto la barriera di 3 milioni, insuperati dal 2012: ben 600mila persone (un quinto del totale) sono stati richiamati dalla grande mostra su Bosch (cfr. la Classifica delle mostre più visitate nel 2016, p. 51).
Secondo sul podio è il Metropolitan Museum di New York (2), che nel 2016 ha raggiunto il suo recordo storico, superando d’un soffio i 7 milioni di visitatori (comprese le sedi distaccate dei Cloisters e del Met Breuer, aperto nel marzo 2016). Il MoMA è ben distanziato, a 3 milioni di ingressi (17); ancora sotto il Whitney (55), dal 2015 nella nuova sede di Renzo Piano. Terzo, sul podio, il primo museo di Londra: il British Museum (3), con una sola sede (ma a ingresso gratuito, come tutti i musei nazionali britannici), ha attirato 6,4 milioni di visitatori. Lo tallona la vicina National Gallery (4)che, in ripresa dopo gli scioperi nel 2015, supera i Musei Vaticani (5, in discesa di un posto nonostante +50mila ingressi) e rimane davanti all’altro grande museo d’arte britannico, la Tate Modern (6) che, anche grazie all’ampliamento di Herzog e de Meuron, ha raggiunto i 5,9 milioni di ingressi, il dato più alto di sempre che lo conferma come il più popolare museo d’arte moderna e contemporanea del mondo. Buona salute godono i grandi musei internazionali,

Il Metropolitan di New York. Foto: Thimothy Neesam
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