Lei si definisce regista, artista e scrittrice. Altri aggiungono e precisano: regista, sceneggiatrice, attrice, cantante e scrittrice. Certo, Miranda July (in realtà: Miranda Jennifer Grossinger, nata nel Vermont nel 1974, cresciuta a Berkeley, California, e oggi attiva a Los Angeles) ha molti talenti ormai ampiamente riconosciuti, e non a caso Fondazione Prada le dedica un’importante esposizione (la prima museale in Italia) in due sue sedi: nell’Osservatorio, nella Galleria Vittorio Emanuele, si tiene la personale «Miranda July: New Society» (dal 7 marzo al 14 ottobre), curata da Mia Locks, con il suo ultimo lavoro, «F.A.M.I.L.Y. (Falling Apart Meanwhile I Love You)», fondato su interazione e collaborazione, e altri suoi progetti, indietro fino alle prime performance tenute negli anni ’90 nei locali punk. E in contemporanea, nella sede di Largo Isarco, il Cinema Godard presenta la retrospettiva integrale dei suoi film, anch’essa per la prima volta in Italia (i tre lungometraggi «Me and You and Everyone We Know», 2005; «The Future», 2011; e «Kajillionaire», 2020, l’ultimo da lei girato, oltre a cortometraggi e lavori inediti).
La mostra all’Osservatorio si apre dunque con gli acerbi lavori d’esordio per arrivare a quelli che le hanno valso la notorietà, da «Love Diamond» (1998-2000) a «The Swan Tool» (2000-03), da «Things We Don’t Understand and Definitely Are Not Going to Talk About» (2006-07) a «New Society» (2015), che dà il titolo al progetto, accompagnati da oggetti di scena, costumi e documenti.
Di sopra, va in scena il versante collaborativo, con il citato «F.A.M.I.L.Y.», installazione video multicanale che documenta la collaborazione su Instagram, lunga un anno, tra l’artista e sette performer, e altri lavori affini, in cui la performance s’intreccia con la componente partecipativa, come «I’m the President, Baby» (2018) e «Services» (2020), oltre alla riproposizione del progetto online «Learning to Love You More» (2000-07; con Harrell Fletcher, presentato tra l’altro al Whitney Museum di New York e al SFMOMA), in cui si chiedeva ai partecipanti di eseguire un compito: qui ne figurano 70, uno dei quali (il numero 43: «Realizza una mostra con le opere che trovi a casa dei tuoi genitori») è messo in atto ora da una partecipante milanese. Alla base del lavoro di July, un’attitudine a esplorare, in un’ottica dichiaratamente femminista, «relazioni umane e forme d’intimità, mettendo in discussione le gerarchie consolidate e le dinamiche di potere convenzionali» (Mia Locks).
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