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San Pietroburgo-Francoforte. Poi Francoforte-Milano Malpensa e di qui, Milano centro: destinazione via Manzoni 12. Questo l’itinerario del viaggio che dall’Ermitage ha condotto al Museo Poldi Pezzoli la celeberrima «Madonna Litta», star mediatica della mostra «Leonardo e la Madonna Litta» (dal 7 novembre al 10 febbraio), curata per il museo milanese da Pietro C. Marani e Andrea Di Lorenzo.
Chiuso in una duplice cassa climatizzata, dotata di stabilizzatori di umidità, il dipinto, lungamente ritenuto autografo di Leonardo (come tuttora insiste l’Ermitage, a dispetto dei numerosi dissensi fra gli studiosi internazionali; ma comunque splendido) ha viaggiato in aereo prima poi, dall’aeroporto milanese, sui camion di Apice, climatizzati e dotati di cassoni isolati dal piano stradale grazie a sospensioni meccaniche e idrauliche (una sorta di «sacco amniotico», che difende le opere d’arte da traumi e sussulti) e, dopo l’obbligatorio periodo di «acclimatazione», il 4 novembre è stato «aperto» in museo, accolto dalla direttrice Annalisa Zanni, dal presidente della Fondazione Poldi Pezzoli, Gian Giacomo Attolico Trivulzio, dai curatori della mostra e da Federica Manoli, museum collection manager del Poldi Pezzoli.
Dopo essere stato minuziosamente esaminato in ogni sua parte con le apposite luci, è stato poi appeso con attaccaglie di sicurezza, nascoste, e infine chiuso nella teca (realizzata da Arterìa, Divisione Safe Tech) in cui trascorrerà i prossimi tre mesi. Non una teca qualunque, ovviamente, ma una «macchina» conservativa dal fondo di Mdf (Medium density fibreboard) ignifugo, nella quale trovano posto due panetti di Art-Sorb contenenti un materiale a base di silica-gel, tarati su un’umidità relativa del 45 per cento, in grado di assorbire o rilasciare l’umidità quando essa si discosti dai parametri assegnati.
Insieme, un datalogger con dispositivo Bluetooth, cui tocca il compito di monitorare i dati microclimatici della teca, che è chiusa anteriormente da un vetro museale ultrachiaro, antiriflesso e antisfondamento, spesso oltre otto millimetri, assicurato alla parete di fondo da barre in acciaio e chiuso ermeticamente da una guarnizione perimetrale di silicone inerte. A sigillare il tutto, una maschera nello stesso Mdf del fondo.
Il dipinto è arrivato a Milano accompagnato da una climatologa, una restauratrice e una curatrice dell’Ermitage che, quando è stato deposto sul tavolo per gli esami e i report di rito, gli si sono avvicendate intorno insieme agli omologhi del museo Poldi Pezzoli: il tutto nel silenzio religioso che l’apertura delle casse e la presenza del dipinto (originariamente su tavola, poi trasportato su tela all’arrivo all’Ermitage, come attestato da un’iscrizione sul retro) hanno indotto in tutti i presenti. Ciò che non ci risulta accadere nelle «mostre» virtuali, oggi così alla moda. Quanto alle altre opere in mostra, per vederle bisognerà attendere fino all’inaugurazione (stamani erano «velate»), ma già si sa che non deluderanno davvero.

La Madonna Litta durante la sua sistemazione nella teca in cui l'opera sarà esposta per la mostra su Leonardo
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