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Redazione GDA
Leggi i suoi articoliIl Grand Egyptian Museum verrà finalmente ultimato entro la fine dell’anno. Questa la promessa del supervisore generale Atef Moftah, che nel 2016 è stato espressamente nominato dal presidente Abdel Fattah al-Sisi alla guida di uno dei più importanti, ambiziosi (e rinviati) progetti museali del XXI secolo. In origine il museo avrebbe dovuto aprire nel 2011.
Durante una visita privata del cantiere sull’altopiano di Giza, Moftah ha dichiarato che l’edificio è completo al «96,5%». Poi ci vorranno «da quattro a sei mesi» nel 2021 per collocare nelle sale circa 100mila oggetti, tra cui 3mila dalla tomba di Tutankhamon. In aprile il presidente Al-Sisi aveva rinviato l’apertura da fine 2020 al 2021. Moftah non è stato preciso sulle nuove tempistiche a causa dell’emergenza Covid-19. I leader di tutto il mondo dovranno poi essere avvisati per tempo dato che, come ha dichiarato lo stesso supervisore, «il regalo dell’Egitto al mondo merita di essere celebrato in pompa magna».
Il grandioso progetto del Grand Egyptian Museum si deve allo studio di architettura di Dublino Heneghan Peng, che nel 2003 vinse il concorso. Tra il resto, il progetto originale prevedeva come facciata principale del museo una parete di onice traslucido lunga un chilometro, destinata a essere retroilluminata di notte.
Moftah, ingegnere specializzato, ha però modificato il progetto realizzando una facciata che conserva il motivo il triangolare scelto dallo studio irlandese (più per la sua stabilità in ambito strutturale che come omaggio alle vicine Piramidi), ma in vetro e lunga circa la metà di quella originaria. Moftah si è dichiarato molto orgoglioso di questo suo contributo: «Questo è il mio progetto personale, ha affermato. Ho fatto risparmiare più di 180 milioni rispetto al budget. Il progetto precedente era complesso e avrebbe richiesto molto tempo».
Il Grand Egyptian Museum è senza dubbio grandioso. Con i suoi 490mila metri quadrati è grande come un aeroporto internazionale. Il ministro delle Antichità e del Turismo egiziano Khaled al-Anany, lo ha definito la «quarta piramide» e, ça va sans dire, offre una vista panoramica su questi antichi monumenti.
Nonostante i rumori del cantiere, le impalcature e gli uomini in tuta blu che spruzzano disinfettante, l’ingresso è mozzafiato. «Ci potreste parcheggiare dentro un Boeing 747, afferma l’architetto Roisin Heneghan: lo spazio espositivo del museo misura quanto quattro campi da calcio».
Il reperto di maggiori dimensioni tra quelli esposti, una statua di granito rosa alta 11 metri del peso di 83 tonnellate raffigurante Ramsete il grande, è arrivato a gennaio 2018 in modo da potervi costruire l’ingresso intorno. Sulla grande scalinata dietro Ramsete fanno bella mostra di sé 87 statue di altrettanti faraoni e divinità egiziane, la maggior parte ancora avvolte da involucri protettivi. Una volta pronte, offriranno ai turisti una storia condensata dell’antico Egitto.
Le gallerie di Tutankhamon al piano di sopra, l’attrazione principale del museo, sono ancora off limits. Esporranno per la prima volta reperti dalla collezione di Tutankhamon, ricca di 3.300 pezzi. Quando scoprì la tomba nel 1922, Howard Carter contò 5.398 reperti; un dato che secondo il museo arriva a 5.600. Oltre ai tesori in oro (maschere funebri, diademi, sarcofagi, carri, gioielli), i visitatori potranno ammirare oggetti di tutti i giorni: i bastoni da passeggio del faraone, le vesti di lino, i boomerang, giochi e scatole contenenti semi di coriandolo e bacche di ginepro.
Carter rimase sorpreso dalle dimensioni contenute della tomba, appena quattro sale per 110 metri quadrati. Il museo ne accoglierà una replica, la stessa aperta nel 2014 nella Valle dei Re. Ma le gallerie sono oltre 60 volte più grandi rispetto al sepolcro originale, 7mila metri quadrati totali. Il programma è quello di esporre i reperti in quattro spazi e nello stesso ordine in cui li trovò Carter.
Il Griffith Institute della University of Oxford, dov’è conservato l’archivio di Carter, si sta occupando di fornire al museo egiziano la scansione digitale di circa 100 fotografie storiche degli scavi realizzate dal fotografo ed egittologo Harry Burton. Tra queste anche il ritratto del ragazzo egiziano addetto all’acqua che pare abbia trovato il primo gradino che scendeva alla tomba, raffigurato mentre indossa un pendente di Tutankhamon in forma di scarabeo. La fotografia e il pendente si possono ammirare nella mostra itinerante dedicata a Tutankhamon attualmente in corso e che ha registrato finora 2,7 milioni di visitatori a Los Angeles, Parigi e Londra. I fondi raccolti dalla mostra, più di 20 milioni di dollari fino a questo momento, verranno impiegati per finanziare il museo.
Zahi Hawass, il noto egittologo egiziano, ha dichiarato che il Grand Egyptian Museum sarà «il più grande museo del mondo» (alcuni musei cinesi in realtà potrebbero contendergli questo titolo). Intervistato nelle sale del vecchio Museo Egizio del Cairo, Hawass ci spiega quali reperti prenderanno il posto della maschera funebre di Tutankhamon e di altre importanti attrazioni dopo il loro trasferimento a Giza. Il progetto è quello di portare al museo «20 mummie delle famiglie reali» e i tesori di Tanis, manufatti funerari in oro rinvenuti nelle tombe reali del Delta del Nilo dall’egittologo francese Pierre Montet durante la seconda guerra mondiale.
Molti importanti reperti del corredo di Tutankhamon sono già nel Centro restauro del Grand Egyptian Museum, operativo dal 2010. «Quello che facciamo qui è riscoprire le collezioni del re, spiega il direttore di Archeologia del museo Tayeb Abbas. Il nostro lavoro è importante quanto quello di Carter». L’anno scorso il sarcofago esterno di Tutankhamon, lungo 2,2 metri, realizzato in legno di cipresso dorato, ha lasciato per la prima volta nella storia la tomba nella Valle dei Re, vicino a Luxor, per essere trasportato nel Centro di restauro, a 500 chilometri di distanza. Nonostante le proteste locali, il sarcofago non farà ritorno. Il suo restauro, fumigazione compresa, è durato otto mesi. Farà parte del nuovo allestimento insieme ai due sarcofagi interni del faraone.
Il Grand Egyptian Museum voleva anche la mummia di Tutankhamon, che avrebbe dovuto arrivare a maggio, ma la comunità locale ha fatto valere le sue ragioni. Consideravano infatti la mummia come il loro antenato e un’attrazione turistica a pieno titolo. Hawass è comprensivo: «La gente di Luxor vuole che il loro antenato debba restare là e rispetto il loro pensiero. La mummia rimarrà a casa sua».
Il Giappone è un importante finanziatore del museo; ha contribuito con prestiti per il valore di circa il 75% del miliardo di dollari del costo dell’opera e, attraverso la Japan International Cooperation Agency, ha formato centinaia di restauratori egiziani. Al Centro di restauro, un team egiziano-giapponese ha condotto il primo studio scientifico sui tessuti della tomba di Tutankhamon che, evidentemente di scarso interesse per Carter, erano tra gli oggetti più deteriorati del corredo del faraone.
Ci sono 115 abiti realizzati in lino pregiato e 93 paia di scarpe, in gran parte sandali. L’esperta giapponese di tessuti Mie Ishii afferma che gli abiti raccontano molto di chi li indossa. Secondo lei Tutankhamon era «un giovane uomo molto sensibile, di ossatura fine, sempre molto pulito» e (ovviamente) vestito «con gli abiti più belli e confortevoli che il regno potesse offrire».
Negli ultimi anni i laboratori hanno fatto altre interessanti scoperte. Il legno massiccio utilizzato per i carri da cerimonia e da caccia di Tutankhamon è l’olmo, proveniente dal bacino orientale del Mediterraneo, a circa 800 chilometri dall’antica Tebe (l’odierna Luxor). Una stupefacente serie di verghe in foglia d’oro è stata identificata come parte di un parasole, il più antico mai ritrovato, di un carro cerimoniale. Altre ricerche hanno stabilito che la lama di ferro di un pugnale trovato insieme alla mummia del faraone proveniva quasi sicuramente da un meteorite.
Hawass ripropone inoltre i suoi studi sulla morte di Tutankhanom. Le analisi del Dna condotte con «un macchinario molto sofisticato fornito da una società di San Diego, negli Stati Uniti» determineranno se il re è morto per un’infezione alla gamba. «Se aveva un’infezione questo significa che è morto per un accidente», afferma Hawass, una conclusione che metterebbe a tacere la teoria dell’omicidio. L’incontenibile egittologo ha anche scritto un’opera in musica sul faraone che verrà messa in scena all’apertura del nuovo museo.
Naturalmente il Grand Egyptian Musuem ha un importante valore a livello nazionale. Moftah spiega che il presidente Al-Sisi «esige la perfezione»; i due si sono incontrati almeno una volta al mese, in alcune fasi ogni settimana. L’economia egiziana ha disperatamente bisogno che i turisti tornino e Moftah prevede da 2 a 3 milioni di visitatori per il nuovo museo nel primo anno.
Sul lungo termine, le aspettative sono fino a 8 milioni di presenze all’anno, un numero che rientra nelle potenzialità del museo. Si stima che la costruzione della tomba del faraone Khufu, la grande piramide, richiese circa vent’anni. Dall’annuncio del concorso nel 2002 all’apertura in programma per il 2021 passerebbero circa vent’anni. Se l’inaugurazione dovesse essere nuovamente posticipata, la data scelta potrebbe essere il 2022, il centenario della scoperta della tomba di Tutankhamon da parte di Howard Carter.
Nicholas Glass è un giornalista e reporter della Cnn, per la quale ha realizzato il documentario «Inside the new Grand Egyptian Museum
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