Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine
Hannah McGivern, Aimee Dawson
Leggi i suoi articoliQuando la rivoluzione del 2011 travolse la capitale egiziana, ambiziosi progetti museali vennero messi in secondo piano alla luce della crisi politica ed economica del Paese. Ora, sei anni dopo, le iniziative culturali sono ripartite con energia.
Il Museo di Arte Islamica, gravemente danneggiato nel 2014 da un attentato dinamitardo al vicino quartier generale della Polizia, ha riaperto alla fine di gennaio. Il tanto atteso Museo Nazionale della Civiltà Egiziana (Nmec), dal 2004 in costruzione nel quartiere al-Fustat, a febbraio ha aperto uno spazio espositivo temporaneo. E il Grand Egyptian Museum (Gem), inizialmente previsto per il 2011, dovrebbe aprire l’anno prossimo con la prima mostra completa della sua collezione di Tutankhamon.
Il Governo è intenzionato ad appoggiare questi progetti, ma mancano i fondi. In un discorso all’apertura dello Nmec, il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi ha sottolineato il ruolo dei musei nella lotta contro il terrorismo. Ma dal momento che molti turisti continuano a evitare l’Egitto, il Ministero delle Antichità fa fatica a finanziare le istituzioni esistenti e non riesce a investire in nuovi musei. Il mese scorso, il ministro delle Antichità Khaled al-Anani ha dichiarato ai media arabi che servono circa 110 milioni di dollari per riaprire venti musei locali chiusi dopo la «rivoluzione». «La sfida è trovare i fondi. Quando li avremo potremo terminare il nostro allestimento permanente in due o tre anni», spiega il direttore dello Nmec Mahrous Said.
La mostra inaugurale del museo, dedicata allo sviluppo della ceramica, dei tessuti, della falegnameria e della gioielleria egiziane nel corso dei secoli, è costata circa 2 milioni di euro. Dopo aver attirato circa 30mila visitatori, in gran parte locali, nelle prime settimane, Said si augura che la mostra possa convincere gli sponsor a raccogliere i 40 milioni di euro necessari per ultimare gli allestimenti permanenti. Il complesso adiacente, con più di 40 negozi da affittare, potrebbe essere in funzione, e quindi generare un reddito, entro giugno, afferma Said.
Nel frattempo, i Governi stranieri hanno sopperito ai finanziamenti mancanti per il Museo di Arte Islamica e per il Gem. Nel 2015, gli Emirati Arabi Uniti hanno donato 2,5 milioni di euro per ristrutturare il museo islamico, mentre lo scorso autunno il Giappone ha accettato di concedere al Gem un secondo prestito di 450 milioni di dollari (il primo di 300 milioni risale al 2006). Il Gem, che sarà anch’esso parte di un grande complesso commerciale, intende creare un programma di «amicizie» internazionali e costituire un fondo, come dichiarato dal direttore Tarek Tawfik.
Il museo conta sulla sua collezione di Tutankhamon, ricca di cinquemila pezzi (tremila dei quali già restaurati) per attrarre 5 milioni di visitatori all’anno. Finora soltanto una parte di questa collezione è stata esposta nella sua sede storica, il Museo Egizio di piazza Tahrir al Cairo. Dall’inizio dei lavori per il nuovo museo, nel 1992, i costi sono quasi raddoppiati, passando da 550 milioni di dollari a più di un miliardo. Situato a due chilometri dalle piramidi di Giza, il Gem disporrà di 93mila metri quadrati di spazi espositivi, diventando il più grande museo al mondo dedicato a una singola cultura. Il ministro delle Antichità egiziano ha dichiarato che il museo dovrebbe essere pronto per il 2022, in tempo per il centenario della scoperta della tomba di Tutankhamon.
Mentre si attende un ritorno del turismo, la «rivoluzione» al momento ha avuto un effetto positivo sulla nascita di un interesse locale per il patrimonio culturale egiziano. Il numero di visitatori egiziani al museo islamico è «cresciuto esponenzialmente» dalla sua riapertura, afferma Tawfik, spingendo il Gem a spostare al rialzo le stime sull’affluenza. C’è la sensazione che lo sforzo del Governo per completare i principali progetti culturali «rafforzerà la fiducia nel Paese dopo anni molto difficili, spiega Salima Ikram, professore di Egittologia all’American University del Cairo. Gli egiziani sono più interessati alle loro origini e al loro patrimonio».