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Kandinskij, vattene!

Nel centenario della Rivoluzione russa, l’ascesa, le contraddizioni e la caduta delle avanguardie

Ricorrono a febbraio i cento anni dall’abdicazione dell’ultimo zar di Russia. Nel giro di pochi mesi Lenin e i bolscevichi conquistarono il potere, facendo tremare il mondo. Come reazione, l’avanguardia russa diede vita a nuove forme di Modernismo che sono ora il soggetto di tre importanti mostre a New York e Londra. 

La storia delle principali avanguardie russe, come sempre in questi casi, fu dettata da un susseguirsi di tesi e antitesi, sino all’inopinato approdo all’antiavanguardia, il Realismo socialista. L’8 novembre 1920, terzo anniversario della Rivoluzione bolscevica, lo scultore Vladimir Tatlin presentò un modello per il suo «Monumento alla Terza Internazionale» di Pietrogrado. L’opera lignea, alta circa 6 metri, era un «sogno», una piccola parte della struttura totale di vetro e acciaio immaginata dall’artista, che avrebbe dovuto raggiungere i 400 metri di altezza e ospitare il Comintern, l’organizzazione internazionale comunista nata con lo scopo di diffondere il marxismo in tutto il mondo. Divisa in quattro edifici sovrapposti progettati per ruotare con moto continuo a diverse velocità, avrebbe dovuto rappresentare il dinamismo del marxismo sovietico. Le spirali della torre, come scrisse il critico Nikolai Punin, «sono piene di movimento, ambizione e velocità: sono in tensione come la creatività e come un muscolo teso con un martello». Il progetto non andò oltre la fase iniziale. Ma «come diretta reazione al modello di Tatlin nacque il Costruttivismo», ha scritto lo storico dell’arte Yve-Alain Bois. Visto retrospettivamente è chiaro il perché: la torre di Tatlin sposava l’aspirazione utopistica agli ideali utilitari, ma nei fatti non ne realizzava nessuno. L’etica del movimento costruttivista si fece strada in un dibattito all’Istituto bolscevico per la cultura artistica (INKhUK). Qui, il primo gennaio 1921, lo scultore Aleksandr Rodcenko riunì un gruppo di artisti per discutere il loro ruolo nella rivoluzione in corso. I membri erano concordi nell’opposizione al direttore dell’INKhUK Vasilij Kandinskij, i cui quadri erano considerati di gusto troppo «borghese» e ritenuti espressione della sua visione personale, che non trovava posto nella rivoluzione. «Abbasso Kandinskij! Abbasso!», scriveva Punin nel 1919. «Tutto nella sua arte è accidentale e individualistico».

Nel gennaio del 1921, Kandinskij rassegnò le dimissioni. Per quattro mesi gli artisti proposero un gruppo di disegni (due a testa), ne discussero animatamente e infine giunsero a una semplice conclusione: solo l’arte costruttivista avrebbe potuto riuscire in questo compito. Da allora in avanti la composizione individuale sarebbe stata abbandonata a favore dell’arte costruita da e per la società bolscevica. «La costruzione è l’obiettivo, la necessità e lo scopo dell’organizzazione», scrissero intorno al 1920 le artiste Ljubov Popova e Varvara Bubnova, e in questa costruzione gli artisti sarebbero dovuti diventare anonimi. Non sarebbero stati concessi «nessun eccesso di materiali o elementi», nessuna decorazione; permesso solo lo stretto necessario. Il Costruttivismo si fondò su questi principi.

Fin dagli anni Venti, quando il Costruttivismo si trovava nella sua fase teorica più produttiva, il progetto incontrò molte difficoltà. Il sostegno dato dal Governo a Tatlin quando il Commissariato del popolo gli commissionò la torre si esaurì rapidamente. I funzionari avevano problemi più importanti di cui occuparsi: l’economia russa rischiava il collasso e la nuova politica economica attuata nel 1921 per darle nuovo impulso, vi aveva reintrodotto elementi del libero mercato. Agli artisti non venivano più garantiti fondi e quelli tra loro che erano passati dall’arte di studio alla costruzione utilitarista trovarono la scelta faticosa e non gratificante. Eppure, in un certo modo, l’arte si evolse proprio in questa direzione, radicalizzandosi ulteriormente. Oltre ai dibatitti all’INKhUK, El Lissitzky stava sperimentando nuove idee per coinvolgere il pubblico nelle sue opere. «Fino ad ora l’osservatore è stato indotto a uno stato di passività dai quadri appesi alle pareti, scrisse nel 1920. Il nostro progetto dovrebbe spingere l’uomo all’attività». Nel 1927, ad Hannover, presentò quella che considerava una delle sue opere più importanti, uno «Spazio di dimostrazione» che comprendeva quadri di Piet Mondrian, Theo van Doesburg e Mies van der Rohe appesi in modo asimmetrico, secondo il gusto personale di Lissitzky. Oltre ai dipinti c’erano armadietti e cassetti pieni di oggetti, che il visitatore era invitato a spostare e aprire a proprio piacimento. Non solo: l’installazione costringeva a un nuovo modo di osservare la pittura modernista, ma immaginava anche un nuovo tipo di museo. La fase radicale dell’arte russa però stava avviandosi al capolinea.

Il 23 aprile 1932, il Comitato centrale del partito comunista approvò un decreto che scioglieva sommariamente tutte le istituzioni culturali, raggruppandole sotto una nuova amministrazione. «Elementi alieni», secondo quanto recitava il testo, avevano contaminato l’arte e la letteratura russe, coltivando un «isolamento elitario e la perdita di contatto con gli obiettivi politici del presente». Si inaugurava così il Realismo socialista come unico stile accettato. Come tutte le rivoluzioni, per dirla con lo storico Crane Brinton, il Costruttivismo scoppiò come una febbre e poi passò, lasciando il paziente in qualche modo «rafforzato dall’esperienza» ma «sicuramente non trasformato in un uomo nuovo».

Pac Pobric, 06 febbraio 2017 | © Riproduzione riservata

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