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«Mass Grave, Old Jewish Cemetery, Warsaw» di Judy Glickman Lauder

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«Mass Grave, Old Jewish Cemetery, Warsaw» di Judy Glickman Lauder

Judy Glickam Lauder dalle Terre del Sangue all’ombra delle palme

Oggi come ieri, davanti alle tragedie e ai conflitti, anche la fotografia deve fare la sua parte

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Anna Somers Cocks

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Si chiamano «Terre del Sangue» i Paesi che si estendono dal Baltico alla Romania settentrionale. Nel suo famoso libro omonimo, Timothy D. Snyder nel 2010 stimava che circa 14,4 milioni di civili vi fossero morti sia per mano di Hitler che di Stalin, mentre l’Occidente era poco o nulla consapevole di ciò che stava accadendo. Poi quelle terre per quasi mezzo secolo sono «sparite» dietro la Cortina di Ferro, ma ora la storia è tornata come torna la vendetta: l’Ucraina è di nuovo Terra di Sangue dove ogni giorno i russi uccidono comuni cittadini ucraini mentre la Bielorussia incombe con armi nucleari tattiche pronte all’uso, se vogliamo credere alle minacce di Putin.

Le fotografie dei luoghi di sterminio nazisti scattate intorno al 1990 da Judy Glickman Lauder, sempre prive di esseri umani, sono profondamente inquietanti. L’artista utilizza spesso il mezzo della fotografia a infrarossi (che traduce il bianco in nero e il nero in bianco) per creare immagini simili a ricordi fantasma, che paradossalmente sembrano più reali delle fotografie convenzionali. Non a caso nel suo libro in cui sono riprodotte queste immagini, Beyond the Shadows (Aperture, 2018), viene citato Salomone bar Simeone che dopo il massacro degli ebrei a Magonza nel 1096 scriveva: «Perché i cieli non si sono oscurati e le stelle non hanno trattenuto il loro splendore? Perché il sole e la luna non si sono oscurati?».

«Questi luoghi sono una sorta di presenza ma anche l’assenza di ciò che c’era prima», confida al nostro giornale. «Per tre anni ho fatto avanti e indietro: tanti campi, tante stazioni ferroviarie, ghetti, sinagoghe e città un tempo popolate da ebrei che non esistono più». La sua famiglia era tutta originaria di quella zona. «Mia nonna era arrivata in America, probabilmente alla fine degli anni 80 dell’800. Aveva una sorella gemella a Kiev che fu uccisa a Babyn Yar [il massacro fuori Kiev di oltre 100.000 ebrei e non ebrei effettuato dai nazisti. Ndr]. Questa è diventata una missione per me. Ho fatto molte mostre perché sentivo che la gente doveva vedere. Non si tratta solo dei nazisti: dalla Seconda Guerra Mondiale in poi sono stati molti gli olocausti e molte le pulizie etniche che si stanno ancora ripetendo proprio in questi giorni. Siamo noi esseri umani i colpevoli. Dobbiamo essere consapevoli del male, della disumanità dell’uomo verso l’uomo, ma anche che possiamo fare la differenza. Anche la fotografia deve fare la sua parte».

In questo ha ragione. Il motivo per cui Hitler è fissato nella nostra mente come più malefico di Stalin è che disponiamo delle fotografie dei cumuli di morti scheletrici nei campi di concentramento, mentre non abbiamo nessuna immagine dei sei milioni di persone deliberatamente assassinate da Stalin.

La fotografa americana, nata nel 1938, è presente in oltre 20 musei, tra cui il J. Paul Getty e il Metropolitan. Cresciuta in California, ha imparato a fotografare dal padre medico, ma anche fotografo pluripremiato, che aveva una camera oscura in casa. Anche Glickman sviluppa ancora le proprie immagini e le piace che si stiano riscoprendo vecchie tecniche come la solarizzazione, i cianotipi e i dagherrotipi, ma non è una purista. Da quand’era ventenne ha sempre avuto con sé una macchina fotografica e ha iniziato a collezionarle. Ha appena donato 700 foto dalla sua collezione al Portland Museum of Art del Maine. Molte sono famose, come l’immagine di Salgado del 1956 nella miniera d’oro brasiliana con centinaia di uomini che brulicano in una grande cavità nella terra, o la foto di Cartier-Bresson della informatrice messa a confronto nel 1945 con la sua vittima che la guarda piena di furibondo disprezzo. Molte immagini, pur essendo di grande bellezza estetica, mostrano il lato crudele dell’umanità e la lotta per la giustizia razziale, svelando la sua forte coscienza sociale (lei e suo marito, Leonard Lauder, co-erede della fortuna dei cosmetici, hanno fatto generose donazioni al mondo accademico, medico e museale).

Spesso le foto rappresentano persone colte in momenti malinconici, come la Marilyn Monroe di Avedon del 1957: affascinante come sempre, ma con l’espressione disperata di una bambina perduta e senza scampo. L’anno scorso Aperture ne ha pubblicato una selezione in un libro intitolato Presence e da allora la sua collezione è in tournée nei musei statunitensi per confluire nel Norton Museum of Art, West Palm Beach dal 2 dicembre al 10 marzo 2024. Quasi tutte le fotografie sono in bianco e nero, ma ora Judy Glickman Lauder si sta dedicando al colore. Dice dei suoi ultimi lavori: «Sto cercando di catturare l’ombra delle palme sull’erba», una sfida puramente estetica che forse è tutto ciò che si può fare davanti al ritorno dell’orrore nelle parti di mondo che ha fotografato come un avvertimento tanti anni fa.
 

«Mass Grave, Old Jewish Cemetery, Warsaw» di Judy Glickman Lauder

Anna Somers Cocks, 05 giugno 2023 | © Riproduzione riservata

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Judy Glickam Lauder dalle Terre del Sangue all’ombra delle palme | Anna Somers Cocks

Judy Glickam Lauder dalle Terre del Sangue all’ombra delle palme | Anna Somers Cocks