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La Scarzuola, la creazione un po’ folle dell’architetto Tomaso Buzzi, in cui gli edifici si chiamano Barca delle Anime, Torre della Disperazione, Scala della Vita...

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La Scarzuola, la creazione un po’ folle dell’architetto Tomaso Buzzi, in cui gli edifici si chiamano Barca delle Anime, Torre della Disperazione, Scala della Vita...

In Umbria, intorno a Todi, tra città fantastiche e parchi d’arte

Il cuore dell’Italia offre una singolare concentrazione di installazioni e progetti visionari: Beverly Pepper a Todi e Alberto Burri a Città di Castello, fino alle visioni utopistiche di Tomaso Buzzi a La Scarzuola e di Brunello Cucinelli a Solomeo

Paolo D’Angelo

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Todi aspirava a diventare Capitale italiana dell’arte contemporanea per l’anno 2026. Lo sarà invece Gibellina Nuova, la città siciliana riscostruita dieci chilometri a valle della vecchia Gibellina, dopo il terremoto del 1966, e popolata di opere di artisti contemporanei grazie all’utopia del sindaco Ludovico Corrao. Ma in qualche non modo Todi è già una piccola capitale, se non dell’arte certo della scultura contemporanea. In passato piazza del Popolo, cuore della cittadina, ha ospitato opere di Arnaldo Pomodoro, Fabrizio Plessi e Beverly Pepper. La torre dell’antico Palazzo dei Priori, sul lato destro della piazza guardando il Duomo, ospita da quest’estate un Museo d’Arte contemporanea. E al centro della piazza nei mesi scorsi campeggiava la grande installazione dell’artista americano Mark di Suvero, mentre opere di dimensioni minori erano visibili nel museo in una mostra allestita da Marco Tonelli.

Sculture contemporanee a Todi

A differenza di quanto è accaduto per le installazioni precedenti, questa imponente opera di Mark di Suvero (oltre quattro metri di altezza) non lascerà la città, ma verrà trasferita in un parco di arte contemporanea che si aprirà nelle vicinanze del ponte Bailey, recuperato due anni fa dopo un lungo abbandono e posto a fulcro di un rilancio della zona limitrofa, con piste ciclabili, cammini nella foresta e, appunto, una raccolta di scultura contemporanea. Ma un parco di sculture importanti Todi già lo possiede, e in un luogo invidiabile. Si tratta delle sculture ambientali di Beverly Pepper, artista statunitense che, dopo essersi trasferita in Italia e aver lavorato in varie città, ha eletto Todi a sua residenza per tutta la seconda parte della sua lunga vita (è morta, quasi centenaria, nel 2020). E ha donato alla città una raccolta delle sue sculture, che si possono scoprire visitando il parco che congiunge, in basso, il tempio di Santa Maria della Consolazione con quello di San Fortunato, in alto, passando per le rovine della rocca cittadina. Difficile immaginare una collocazione più suggestiva. Il punto di partenza si trova sul grande piazzale su cui sorge uno degli edifici più spettacolari del nostro Rinascimento, Santa Maria della Consolazione, la chiesa a croce greca, luminosa all’esterno e all’interno, candida sul verde che la circonda. Uno di quei luoghi in cui l’equilibrio tra la mano dell’uomo e il paesaggio circostante è così perfetto da sembrare miracoloso. 

Due corpi scultorei, i «San Martino Altars» (1993), vi segnalano l’ingresso del sentiero che si snoda nel parco, tutto coperto dalla vegetazione nella parte in salita. In corrispondenza delle curve dell’agile sentiero, percorribile senza fatica, scoprirete via via i vari materiali con i quali questa artista, che nasceva pittrice e pubblicitaria, ha saputo familiarizzarsi e operare: il ferro, l’acciaio corten, il legno, talvolta fusi insieme nella stessa opera, a creare un effetto straniante come nei «Maia Toltec» (1993), sorta di obelischi o colonne che richiamano civiltà lontane, ma anche la pietra e il marmo, magari segnato solo da un minimo lavoro di intaglio. La vera sorpresa, però, l’avrete arrivando là dove il percorso si apre in una radura, dove si intravedono i resti della rocca ma soprattutto si stagliano verso l’alto, come in un’acropoli, le «Todi Columns», quattro imponenti colonne di acciaio, ognuna diversa: una rielaborazione delle colonne che nel lontano 1979 vennero esposte nella piazza del Popolo, come oggi l’arco di Mark di Suvero, e che hanno segnato l’inizio dell’idillio tra Beverly Pepper e Todi.

Solomeo, il Borgo di Cucinelli

Dal Parco del ponte Bailey è possibile raggiungere con la ciclabile la nostra tappa successiva, la visionaria architettura della Scarzuola. Se vi spostate in auto, però, non perdete l’occasione di una sosta a Solomeo, un piccolo borgo nel Comune di Corciano, che si raggiunge deviando per Castel del Piano prima di raggiungere Perugia. Sono poche case, su una collina dal magnifico affaccio, ma hanno una storia singolare. Di origine medievale, raggruppato attorno alla piccola Chiesa di San Bartolomeo, a partire dagli anni ’80 del Novecento Solomeo è stato oggetto delle cure continue di un grande industriale tessile, Brunello Cucinelli. I suoi stabilimenti e i suoi uffici sono nelle vicinanze, ma il borgo è silenzioso e tranquillo, Ogni casa, ogni strada reca il segno della cura e dell’attenzione. I giardini (quasi ogni casa ne ha uno) sono amorevolmente accuditi, le facciate impeccabili. Ogni casa ha il suo motto scritto su una ceramica, e molte hanno un busto che evoca un personaggio insigne, un filosofo o un artista. Quando l’abbiamo visitato, ed era prima di Natale, il paese sembrava un presepe diffuso, con i pastori e le pecore in terracotta, i Magi in attesa sulla piazzetta, discosta dalla capanna col bambinello. Ma da Cucinelli Solomeo ha ricevuto anche un Parco della Pace, una biblioteca, una fondazione umanistica e un teatro, che ha visto nel tempo alcuni tra i grandi dello spettacolo, da Peter Brook a Charlotte Rampling, e insomma è diventato una cittadella della cultura.

Mark di Suvero, «Neruda’s Gate» in piazza del Popolo a Todi

Beverly Pepper, «Todi Columns»

La città fantastica di Tomaso Buzzi

Da Solomeo, procedendo verso Città della Pieve (la città natale del Perugino) potete raggiungere La Scarzuola, la creazione un po’ folle di un architetto, Tomaso Buzzi (1900-81). Al termine di una carriera di successo, che lo aveva visto collaborare con Gio Ponti e costruire diverse abitazioni a Milano, Buzzi si innamorò di questo luogo appartato, un tempo non a caso eremo francescano, e alle spalle della chiesetta cominciò a edificare una piccola città fantastica, molto esoterica, dove gli edifici si chiamano Barca delle Anime, Torre della Disperazione, Scala della Vita, Pozzo della Meditazione e così via. Buzzi si era formato al tempo dell’Art Déco e il suo linguaggio architettonico eredita qualcosa di quel movimento e qualcosa del Surrealismo, ma è soprattutto un sogno personalissimo. Giungendo a La Scarzuola, gli edifici si scorgono a malapena e il paesaggio circostante è selvatico e pare disabitato. Superato il piazzale della chiesetta, si apre un intrico in cui non faticherete a riconoscere mascheroni che ricordano la Bocca Tartarea nel Sacro Bosco di Bomarzo (Vt), rievocazioni in miniatura di edifici classici, occhi che vi scrutano ma vi permettono anche uno sguardo che spazia, finalmente, sulla valle circostante. Un bosco a perdita d’occhio.

Burri a Città di Castello

Dopo i deliri di Buzzi, se possibile accentuati dagli interventi, ancora in fieri, del nipote Marco Soleri, potete dirigervi a nord, verso Cortona, dove vi attende un altro mirabile esempio di quella collaborazione tra architettura e ambiente che rende unico il nostro paesaggio. È Santa Maria al Calcinaio alle porte della città etrusca. Ma se il vostro filo conduttore è l’arte contemporanea, non avete che da procedere fino a Città di Castello. Qui, nel 1915, è nato uno dei nostri maggiori artisti del Novecento, Alberto Burri. Fatto prigioniero dagli americani e recluso in un campo di concentramento in Texas, Burri, che aveva studiato medicina e mai aveva pensato di dedicarsi all’arte, si scoperse pittore. Rientrato in Italia, si formò come artista a Roma, a fianco dei protagonisti degli anni Cinquanta, dapprima con i suoi Catrami, i Bianchi, poi i Legni, i Cellotex, i Sacchi, i Cretti. E la sua città natale lo ha onorato nel modo migliore, con due raccolte molto ricche, l’una nell’antico Palazzo Albizzini, l’altra un po’ fuori dall’abitato grazie al recupero dei vasti spazi degli Essiccatoi di tabacco (un tempo coltura tipica di questa zona). E lo spazio ci vuole, specie per le ultime opere di Burri, che ha bisogno di ampie dimensioni per quella sua arte che Cesare Brandi, il critico che più ha contribuito al consolidamento della sua fama, ebbe a qualificare «audace, superba come una sfida, cosciente come un atto di coraggio». 

Alberto Burri, «Sacco», 1953, Città di Castello, Palazzo Albizzini

Paolo D’Angelo, 01 agosto 2025 | © Riproduzione riservata

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