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La squadra di archeologi Italo-ispano-tunisini all’opera sul sito dell’antica città romana di Cillium, nell’attuale Tunisia

Foto: Progetto Ipar

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La squadra di archeologi Italo-ispano-tunisini all’opera sul sito dell’antica città romana di Cillium, nell’attuale Tunisia

Foto: Progetto Ipar

Il «torcularium» di Cillium, in Tunisia, era il secondo maggior frantoio dell’antichità

Lo ha scoperto una missione archeologica italo-ispano-tunisina condiretta dall’Università Ca’ Foscari di Venezia. La zona era un distretto olivicolo di eccellenza

Roberto Mercuzio

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L’Università Ca’ Foscari di Venezia ha assunto la condirezione di una missione archeologica internazionale nella regione di Kasserine, in Tunisia. Gli scavi, focalizzati nell’area dell’antica città romana di Cillium, ai confini con l’attuale Algeria, si concentrano su imponenti strutture legate alla produzione dell’olio, tra cui due «torcularia», gli impianti per la spremitura delle olive, uno dei quali è stato identificato come il secondo frantoio romano più grande di tutto l’Impero.

La campagna di scavo, a cui quest’anno ha partecipato il professor Luigi Sperti, vicedirettore del Dipartimento di Studi Umanistici e direttore del Cesav (Centro Studi Archeologia Venezia) di Ca’ Foscari, si sta concentrando su due antiche fattorie olivicole situate nel cuore del massiccio del Jebel Semmama.

Il territorio, contraddistinto da alte steppe e da un clima continentale, con forti escursioni termiche e scarse precipitazioni raccolte in pozzi, offriva condizioni ideali per la coltivazione dell’olivo, una risorsa essenziale per l’economia dell’Africa romana, che rese la Tunisia il principale fornitore di olio per Roma.

Questa zona di confine dell’Africa proconsolare, abitata in antico dai Musulami, una popolazione di origine numida, rappresentava un punto d’incontro e di scambio tra il potere romano, i coloni veterani e le comunità locali. Le strutture scoperte in questa circostanza furono operative tra il III e il VI secolo d.C.

Tra i principali siti oggetto della ricerca figura Henchir el Begar, identificato con l’antico Saltus Beguensis, centro di una vasta proprietà rurale situata nella circoscrizione di Begua, appartenente nel II secolo d.C. al «vir clarissimus» Lucillius Africanus. Il sito è noto per una celebre iscrizione latina che riporta un senatoconsulto del 138 d.C., con il quale si autorizzava l’organizzazione di un mercato bimestrale, un evento di grande importanza nella vita sociale, politica e religiosa dell’epoca.

L’insediamento, esteso su circa 33 ettari, è articolato in due settori principali, Hr Begar 1 e Hr Begar 2, entrambi dotati di frantoi, un bacino di raccolta delle acque e varie cisterne. Hr Begar 1 ospita il più grande e imponente frantoio romano della Tunisia, e il secondo di tutto l’Impero romano, con un monumentale torcularium composto da dodici presse a trave. Hr Begar 2 conserva un secondo impianto con otto presse della stessa tipologia.

L’area comprende inoltre un vicus rurale dove abitavano i coloni e forse parte della popolazione locale. In superficie sono stati rinvenuti numerose macine e mulini in pietra, che documentano una produzione mista di cereali e olio, rivelando la duplice vocazione agricola del sito. Le recenti prospezioni geofisiche, condotte con georadar, hanno inoltre individuato un fitto tessuto di strutture abitative e tracciati viari, segnalando un’organizzazione complessa e articolata dello spazio rurale.

La missione archeologica è frutto di una proficua collaborazione scientifica internazionale nata nel 2023 su iniziativa della professoressa Samira Sehili (dell’Université La Manouba, e dell’Institut National du Patrimoine de la Tunisie, due istituzioni tunisine) e della professoressa Fabiola Salcedo Garcés (Universidad Complutense, Madrid, Spagna). La condirezione del professor Luigi Sperti di Ca’ Foscari a partire da quest’anno, con il riconoscimento istituzionale del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, rafforza la collaborazione scientifica globale e apre nuove prospettive di ricerca congiunta tra Tunisia, Spagna e Italia nell’ambito del crescente interesse per l’archeologia della produzione, in particolare dell’olio, elemento caratterizzante le civiltà del Mediterraneo fino ad oggi.

Negli strati di età moderna fino all’età bizantina sono stati rinvenuti reperti di notevole interesse, tra cui un bracciale decorato in rame e ottone, un proiettile in pietra calcarea bianca e alcuni elementi di scultura architettonica, come una porzione di pressa romana riutilizzata in un muro bizantino.

«Questa missione offre una prospettiva senza precedenti sull’organizzazione agraria e socioeconomica delle regioni di frontiera dell’Africa romana, ha sottolineato Luigi Sperti. L’olio d’oliva fu un prodotto importantissimo nella vita quotidiana degli antichi Romani, che non solo lo usavano come condimento in cucina, ma anche come prodotto per la cura del corpo, sia in ambito sportivo sia in medicina, e persino, se di qualità scadente, come combustibile per l’illuminazione. Fare luce sulla produzione, commercializzazione e trasporto di questo prodotto su scala così vasta costituisce un’opportunità del tutto eccezionale di unire ricerca, valorizzazione e sviluppo economico, confermando l’importanza dell’archeologia come eccellenza del nostro ateneo».

Roberto Mercuzio, 17 novembre 2025 | © Riproduzione riservata

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