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«Time gravity», la seconda edizione del progetto biennale «Arte nel Paesaggio 2025» a cura di Jade Vilestra e Giada Rodani, ha quest’anno come protagonisti Sophie Ko (Tbilisi, Georgia, 1981) e Luca Pozzi (Milano, 1983). L’iniziativa lega a doppio filo le diverse espressioni del linguaggio contemporaneo al contesto ambientale e storico-architettonico del territorio creando un continuum generativo. Al centro il concetto di Tempo «inteso come il ritmo dell’universo e il ciclo naturale in continuo mutamento, ma anche come frammento di tempo, con un valore qualitativo e relativo, spiegano le curatrici. Da qui una riflessione sulla morfologia, non legata a un’idea di forma stabilita, statica e definitiva ma, come per il paesaggio, sempre in divenire». I due artisti che lo affrontano, in modi e materiali diversi, trovano un punto di incontro nell’intendere quella dimensione non solo come misura ma come stratificazione nello spazio, che coinvolge il senso dell’arcaico, dell’ignoto. I lavori sono visibili fino al 30 novembre alla Cappella di San Michele Arcangelo a Semifonte e, non lontano, all’Osservatorio Astronomico del Chianti (Opc), gestito dall’Università degli Studi di Firenze, Dipartimento di Fisica e Astronomia, diretto dall’astrofisico Emanuel Pace, a Barberino Tavarnelle (Fi). «Da un lato, spiegano le curatrici, un monumento che custodisce la memoria di Semifonte, antica città scomparsa; dall’altro, una struttura che scruta l’universo alla ricerca di particelle e segnali del cosmo».
Artista e mediatore interdisciplinare la cui pratica si muove tra arte, scienza e filosofia, Luca Pozzi ci invita a interrogarci sulla struttura dell’universo e sulla nostra percezione di esso. Presso la Cupola di Semifonte (progettata da Santi di Tito e che riproduce in scala 1:8 quella del Duomo di Firenze) «Tau Detector» è progetto ispirato dalle dimensioni microscopiche indagate da Lhn (Large Hadron Collider) al Cern di Ginevra. I Detector hanno una superficie in alluminio anodizzato dodecagonale con 17 moduli in alluminio curvati a mano e 34 palline da ping pong in sospensione magnetica. Attraverso uno schema pittorico tridimensionale fluttuante, offrono una visualizzazione materiale della particella del raggio catturata appena un momento prima di un’ipotetica collisione all’interno di uno dei quattro rivelatori di Lhc.
Ko affida invece alla materia «il compito di essere testimone del tempo, di diventare un archivio vivente di trasformazioni». Il tempo si deposita e depositandosi resta visibile, sino a scomparire. Così il suo «Firmamento» è un’opera site specific, realizzata imprimendo cenere e pigmento puro rosso nella cavità rettangolare dell’altare dove alloggiava la pietra consacrata ormai da tempo rimossa. Ed è l’unico lavoro nel quale l’artista ha voluto rendere visibili le proprie impronte perché l’opera è rivolta verso l’interno. Nei giorni dell’inaugurazione, Ko aveva creato anche una grande installazione a terra di sabbia e pigmento («Taking Shelter»), destinata a essere processualmente distrutta /spazzata via ai primi di luglio. Un gesto artistico effimero e meditativo, un’azione rituale con una doppia valenza, sia di meditazione sui temi dell'impermanenza e del valore processuale dell’arte, sia di memoria storica: Semifonte fu rasa al suolo dalle truppe di Firenze all’inizio del XIII secolo e Ko omaggia i suoi vinti, ma anche tutte le vittime dimenticate dei conflitti, ieri come oggi.
All’Osservatorio, «Dragon’s Eggs» di Luca Pozzi è l’esito della collaborazione con l’istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), che ha dotato le uova di veri scintillatori muonici in grado di percepire il passaggio nella scultura di particelle subatomiche altrimenti invisibili. Le uova «comprimono, spiega Pozzi, sulle loro superfici specchianti tutta l’informazione dello spazio circostante, ma la loro natura interna sembra essere costantemente negata o rimandata da un’eccessiva riservatezza. Sono elementi arcaici, ma alludono alla massima smaterializzazione, all’entanglement quantistico, alla discrezione dei neutrini […] Mi piace immaginarle come uova di drago vecchie 13,820 miliardi di anni».
Le «Geografie temporali (Cenere di altri cieli)» di Sophie Ko sono quadri fatti di cenere di immagini bruciate o di pigmento puro. Opere che entrano in dialogo con alcuni momenti fondativi della storia ma anche della preistoria dell’arte. Perché, notava Federico Ferrari in un saggio su Ko, «quando tutto nel nostro tempo sembra diventato calcolabile, determinabile, dipendente dalla volontà umana, l’opera d’arte rende al mondo la possibilità che appaia l’ignoto».
Come per l’edizione 2023, che aveva visto protagonisti Evelien La Sud e Loris Cecchini, anche questa avrà un catalogo pubblicato in autunno. «Arte nel paesaggio» vede la collaborazione del Comune di Barberino Tavarnelle con molti enti e associazioni del territorio, nonché dell’Università di Firenze, e gode del contributo della Fondazione Cr Firenze, del patrocinio della Regione Toscana e del Centro per l’Arte contemporanea.

Luca Pozzi, «Tau Detector». Foto © Ela Bialkowska OKNO Studio